venerdì 31 dicembre 2010

L'eroe di Pino Farinotti

L'idea narrativa è avvincente e originale. Il classico presupposto per una storia; la risposta alla domanda "Che cosa succederebbe se...?".
Anche il contrasto psicologico dei personaggi è ben delineato.
Ma... la storia non convince, perché manca di verosimiglianza.
Il terrorista fondamentalista islamico è fondamentalmente un disperato. Disperato sociale. E raramente appartiene al mondo ricco, borghese e con una coscienza formata e sedimentata nei secoli da illuminismo, romanticismo, laicismo, razionalismo, relativismo, scientismo, comunismo, liberalismo, sociologismo...
Un mondo a cui, invece, appartiene il protagonista del romanzo.
Insomma poco credibile.
Poco credibile che uno così arrivi a sacrificare la propria vita per un ideale troppo debole, facilmente confutabile, per una mente intellettuale come la sua.
Poco credibile che uno così arrivi a sacrificare la propria vita senza credere (credere veramente intendo...) in un paradiso dei giusti nell'aldilà, in un riscatto escotologico reale.
Uno così è troppo annoiato dalla vita, ma poco disperato e per nulla disperato socialmente.

Insomma, una bella storia, curiosa, da leggere sicuramente con leggerezza, tenendo presente però che, come affermava Mario Vargas Llosa, i romanzi dovrebbero raccontare "la verità delle menzogne".

Sinossi
Franco Ferrari, intellettuale di successo, spirito moderato e fondamentalmente laico, traccia un bilancio disastroso della propria vita privata. In particolare non sopporta più di condurre un'esistenza svuotata di ogni passione e ideale, pigra e passiva di fronte ai continui attacchi portati a un modello di società, quello occidentale, che nonostante tutto sente di dover difendere. Come se non bastasse, la relazione con una donna di origini tunisine e l'incontro con un dignitario saudita gli aprono gli occhi sulla maggiore "vitalità" dell'Islam; il cristiano, si rende conto, nel migliore dei casi crede, un musulmano è certo, ed è per questa ragione che non teme i comportamenti estremi. In lui nasce così la volontà di fare qualcosa di concreto, un'esigenza che si fa sempre più pressante in seguito a un colloquio con la morente Già Veronesi, famosa giornalista e polemista, e a una specie di "chiamata" dal passato. Un suo antenato che partecipò alla battaglia di Vienna dell'11 settembre 1683, dove l'esercito di Maometto IV fu fermato, sembra infatti invitarlo all'azione. Alla fine, Franco concepisce un progetto inaudito: entrare in una moschea con indosso una cintura esplosiva e farsi saltare in aria, dimostrando al mondo che anche un occidentale è capace di gesti assoluti. Prima, però, spiegherà le sue ragioni in una lunga lettera, e si procurerà un testimone che racconti l'ultima parte della storia. Ma nessun piano, neanche il più perfetto, tiene conto di tutti gli imprevisti.

mercoledì 29 dicembre 2010

XY di Sandro Veronesi

Da leggere in montagna. Possibilmente durante l'inverno... con la neve!
Un bel romanzo, che esplora le psicologie di persone "lontane" alle mentalità degli "urban people".
Veronesi si conferma un abile narratore. Molto bravo nell'esercizio di evidenziare due punti di vista differenti (come Queneau in Esercizi di stile, per intenderci...)
L'alternarsi dell'io narrante fra un prete ed una psichiatra (XY appunto...) è una bella trovata narrativa.
Davvero un bel romanzo avvincente, di quelli che capitano raramente e che vorresti avere il tempo di poterlo finire in una notte "buia e tempestosa".
Certamente molto diverso dal più famoso Caos calmo, che descrive invece un mondo borghese metropolitano.

Sinossi: "L'ho detto ai carabinieri, l'ho detto al Procuratore, l'ho detto a tutti quelli che mi hanno chiesto "cosa avete visto?": l'albero, abbiamo visto, l'albero ghiacciato. E stata la prima cosa che abbiamo visto, appena arrivati al bosco - e anche dopo, quando abbiamo visto il resto, è rimasto l'unica cosa intera che abbiamo visto. L'albero. Era lì, al suo posto, all'imboccatura del bosco, cristallizzato come sempre nel suo cappotto di ghiaccio, la cui trasparenza era offuscata dalla neve fresca - ma era rosso. Era rosso, sì, come se Beppe Formento, nell'atto di ghiacciarlo, avesse messo dello sciroppo di amarena nel cannone. In quel bianco fatale era l'unica cosa che mantenesse una forma, e sembrava - non esagero - acceso, pulsante di quell'intima luce aurorale che ancora oggi mi ritrovo a sognare. Sogno quella trasparenza rossa, sì, ancora oggi, e la sogno senza più l'albero, ormai, senza nemmeno più la forma dell'albero: sogno quel colore e nient'altro. Un tramonto imprigionato in un cielo di gelatina, un sipario di quarzo rosso che cala sul mio sonno, un'immensa caramella Charms che si mangia il mondo, ho continuato a sognare quella trasparenza rossa e continuo a farlo, perché è ciò che abbiamo visto, quando siamo arrivati al bosco. Cosa avete visto? Abbiamo visto l'albero ghiacciato intriso di sangue".

giovedì 16 dicembre 2010

Il piacere di camminare di Gianfranco Bracci

Un libro utile e motivazionale, a metà strada (è proprio il caso di dirlo...) fra il manuale, il saggio e il semplice dispensatore di consigli utili.
Molto concrete le indicazioni per chi vuole intraprendere la pratica della "passeggiata" quotidiana e per chi vuole iniziare a praticare il trekking.
Fa riflettere quanto e come sia importante nella nostra vita riprendere a camminare concretamente e riprendere a far camminare la nostra mente e il nostro pensiero.
Da leggere idealmente nelle pause fra una camminata ed un'altra e da leggere periodicamente come rafforzativo delle motivazioni a camminare quotidianamente per combattere la pigrizia e la tentazione dell'abbandono... sul divano.
Sinossi
Se camminare è un piacere, lo può anche essere il riflettere su quest'attività, la più antica della razza umana. Con questo volume Gianfranco Bracci raccoglie, in interventi suoi e di altri camminatori, riflessioni e consigli su una varietà di argomenti che spaziano dalla filosofia del camminare al senso dell'andare a piedi (stimolato dal pensiero di scrittori, pensatori, poeti), dal camminare scalzi, allo Yoga come meditazione camminata. Nella sua varietà e complessità è un libro di cui si apprezza la semplicità e la naturalezza con cui l'autore affronta l'argomento, senza alcuna presunzione o pedanteria; semplicità e naturalezza che, evidentemente, gli derivano dalla lunga esperienza di camminatore e trekker. Il libro, suddiviso in tre sezioni (1. Sul camminare, 2. Camminare, dove, come, quando, 3. Voglia di camminare) non è limitato alla riflessione, ma anche votato ai consigli pratici sul dove camminare (percorrendo le grandi traversate, camminare senza bussola/carta/GPS, viandanti sui sentieri dello spirito, camminare sulla neve, ecc.), sul quando (in inverno, o in età avanzata) e sul come (pianificare un'escursione, alimentazione ed abbigliamento, tecnica del Nordic Walking, ecc.). Arricchito come è da una varietà di contributi di tanti autori, noti e meno noti (tutti comunque appassionati camminatori), il volume è una lettura curiosa e piacevole sulla quale soffermarsi, ad esempio, nelle pause di un trekking.


venerdì 10 dicembre 2010

La lettrice di Annie Francois

Questo libro è davvero gradevole; una ironica e piacevole condivisione di manie fra i bibliofili (o bibliofagi come li chiama l'autrice). Ci si sente meno soli nelle proprie stranezze sui libri, sui propri gesti scaramantici e le proprie movenze autistiche, collegate al mondo del libro.
Alcuni esempi? Ecco i più classici.
La paura di prestare i libri; di buttare anche il peggiore dei romanzacci gialli comprato per 20 centesimi in qualche bancarella di libri usati, più per sindrome compulsiva che per interesse; i segnalibri e le orecchie alle pagine; i post-it o le sottolineature a matita e, dilemma omerico... Che fare delle fascette promozionali con su scritto, ad esempio, "finalista del premio strega..." o "da leggere. (New York Times)..."?

Comunque... da leggere ;-)


Sinossi
Un piccolo libro per chi ama i libri, per chi, prima ancora del contenuto, ama l'oggetto in sé. Annie Francois analizza tutti i possibili piaceri - da quello tattile a quello olfattivo - nonché gli aspetti - la grana della carta, la copertina, il risvolto - legati al libro. Conosce, e alimenta, le manie del lettore "bulimico": il timore di sciuparlo, di prestarlo, di rovinarlo se preso in prestito; il rito lacerante della scelta dei libri da portare in vacanza, il dramma di doverne buttare alcuni per questioni di spazio. Scopriamo allora che altri, maneggiando e leggendo un libro, vivono emozioni simili alle nostre, che essere lettori ci dà un senso di appartenenza, ci fa sentire meno soli al mondo.

Francois A., La lettrice, Tea 2008

giovedì 2 dicembre 2010

Bianca come il latte, rossa come il sangue di Alessandro D'Avenia

Ho letto molte critiche e polemiche riguardo a questo libro, quindi ho pensato che fosse un buon libro da leggere. Critiche sulla scontatezza di alcuni personaggi e su certi mondi; sulla presunta furberia dell'autore, sul fatto che abbia utilizzato la storia vera di una ragazza morta a 15 anni di leucemia per costruire la storia.
Che la madre della ragazza si sia risentita è comprensibile e va rispettato, ma gli altri?
Moralismo peloso italiano! Sempre a vedere il marcio dietro ogni cosa e a considerare "normale" il marcio vero.
L'autore s'è ispirato ad una storia vera? Dov'è lo scandalo? Ha reso la verità verosimigliante! Un dovere per uno scrittore!
Ha inventato un personaggio "buono" e non rispondente agli adolescenti vuoti della realtà? Chi sarebbero i moralisti e gli stereotipisti? (ma esiste questa parola?)
Il professore del romanzo è uno stereotipo del supplente sfigato saggio e filosofeggiante? Non ne avete mai incontrati?
Esistono grazie a Dio! Sono loro che salvano alcuni dei nostri ragazzi dalla diseducazione della societa dei mass media di oggi!
Esistono, grazie a Dio, per chi ha la fortuna di incontrarne almeno uno sul proprio percorso.
Ebbene... concedetemi una divagazione tratta della Bibbia (Genesi 18, 20-32):

In quei giorni, disse il Signore: «Il grido di Sòdoma e Gomorra è troppo grande e il loro peccato è molto grave. Voglio scendere a vedere se proprio hanno fatto tutto il male di cui è giunto il grido fino a me; lo voglio sapere!». Quegli uomini partirono di là e andarono verso Sòdoma, mentre Abramo stava ancora alla presenza del Signore.
Abramo gli si avvicinò e gli disse: «Davvero sterminerai il giusto con l’empio? Forse vi sono cinquanta giusti nella città: davvero li vuoi sopprimere? E non perdonerai a quel luogo per riguardo ai cinquanta giusti che vi si trovano? Lontano da te il far morire il giusto con l’empio, così che il giusto sia trattato come l’empio; lontano da te! Forse il giudice di tutta la terra non praticherà la giustizia?».
Rispose il Signore: «Se a Sòdoma troverò cinquanta giusti nell’ambito della città, per riguardo a loro perdonerò a tutto quel luogo».
Abramo riprese e disse: «Vedi come ardisco parlare al mio Signore, io che sono polvere e cenere: forse ai cinquanta giusti ne mancheranno cinque; per questi cinque distruggerai tutta la città?». Rispose: «Non la distruggerò, se ve ne troverò quarantacinque».
Abramo riprese ancora a parlargli e disse: «Forse là se ne troveranno quaranta». Rispose: «Non lo farò, per riguardo a quei quaranta».

Riprese: «Non si adiri il mio Signore, se parlo ancora: forse là se ne troveranno trenta».
Rispose: «Non lo farò, se ve ne troverò trenta».

Riprese: «Vedi come ardisco parlare al mio Signore! Forse là se ne troveranno venti». Rispose: «Non la distruggerò per riguardo a quei venti».
Riprese: «Non si adiri il mio Signore, se parlo ancora una volta sola: forse là se ne
troveranno dieci». Rispose: «Non la distruggerò per riguardo a quei dieci».


Eccola la domanda che dovremmo porci oggi.
Esistono almeno dieci insegnanti giusti nella nostra scuola? (Si badi bene: giusti, non perfetti) Esistono almeno dieci adolescenti così nella nostra società? Almeno dieci adulti, ragazzi, genitori, vecchi...?
Ebbene, sarà grazie ad almeno dieci giusti se si salverà la nostra scuola, il nostro futuro e la nostra società.

Un libro che mi ha fatto piangere; mi ha emozionato profondamente.
Un libro così, che ti smuove così, è un buon libro; un'opera letteraria.

Compratelo e leggetelo: perchè vale molto di più e sarà molto più utile di tanti manuali su come comportarsi con gli adolescenti.

Dalla quarta di copertina: "Leo è un sedicenne come tanti: ama le chiacchiere con gli amici, il calcetto, le scorribande in motorino e vive in perfetta simbiosi con il suo iPod. Le ore passate a scuola sono uno strazio, i professori "una specie protetta che speri si estingua definitivamente". Così, quando arriva un nuovo supplente di storia e filosofia, lui si prepara ad accoglierlo con cinismo e palline inzuppate di saliva. Ma questo giovane insegnante è diverso: una luce gli brilla negli occhi quando spiega, quando sprona gli studenti a vivere intensamente, a cercare il proprio sogno. Leo sente in sé la forza di un leone, ma c'è un nemico che lo atterrisce: il bianco. Il bianco è l'assenza, tutto ciò che nella sua vita riguarda la privazione e la perdita è bianco. Il rosso invece è il colore dell'amore, della passione, del sangue; rosso è il colore dei capelli di Beatrice. Perché un sogno Leo ce l'ha e si chiama Beatrice, anche se lei ancora non lo sa. Leo ha anche una realtà, più vicina, e, come tutte le presenze vicine, più difficile da vedere: Silvia è la sua realtà affidabile e serena. Quando scopre che Beatrice è ammalata e che la malattia ha a che fare con quel bianco che tanto lo spaventa, Leo dovrà scavare a fondo dentro di sé, sanguinare e rinascere, per capire che i sogni non possono morire e trovare il coraggio di credere in qualcosa di più grande"

Recensione IBS: "Sono pieni di sfumature gli occhi del professore quando racconta le storie delle Mille e una notte, quando racconta di uomini umili che non sanno di avere un tesoro sotterrato davanti all'uscio di casa e di viaggi a perdifiato attraverso il deserto alla ricerca di un sogno. Il professore "Sognatore", secondo la sua classe di liceali sedicenni, non sa niente della vita reale: dopo tutto è solo un supplente "sfigato"… ma quando guarda quei ragazzini scomposti e assonnati gli si para davanti tutta la tavolozza dei colori della terra e si accende di entusiasmo.
Per Leo, invece, le cose della vita possono avere solo due colori: il bianco e il rosso. Bianco è il vuoto, la noia, il silenzio, la solitudine. è la tremenda sensazione, che provano tutti i ragazzi, che il mondo ti sia completamente indifferente e avulso, che tutto sia insignificante e estraneo. Il rosso invece è il sangue che pulsa nelle vene prima di una partita contro la seconda D, è l'adrenalina che sale quando scatta "lo sfidone" in motorino con Nico. Rosso è Beatrice. Ogni mattina dopo la scuola Beatrice, con i suoi capelli rossi, aspetta alla fermata dell'autobus, mentre Leo le sfreccia davanti a tutta velocità rischiando ogni volta la vita. Farebbe qualunque cosa pur di attirare la sua attenzione, perché Leo è innamorato, è pazzo di Beatrice.
Per un ragazzo di sedici anni, stretto nella morsa di due genitori sempre presenti e attenti, non ci sono filosofie di vita da abbracciare, o sistemi morali da seguire. Non esistono le sovrastrutture e i giri di parole, l'autorità che i genitori devono dimostrare e la socializzazione forzata della scuola, gli orari, gli obblighi e le verifiche di matematica. Agli occhi di un adolescente innamorato l'unica cosa che conti è la vita, e la vita è un'eterna trepidazione. A volte, però, anche ai ragazzini belli e promettenti come Leo può succedere che tutto si sfaldi tra le mani. A volte, nella peggiore delle ipotesi, può succedere che l'entusiasmo si spenga all'improvviso, che i fili si spezzino di colpo, che il sogno di tutta la tua vita, quella cosa fragilissima e preziosa che faceva muovere ogni tuo passo, ti esploda in faccia.
Allora restiamo a guardare basiti. Noi, il professore sognatore che lo insegue per i parchi e le panchine della città, la sua mamma, che lo vuole tenere stretto come un bambino, e anche Silvia, la sua amica del cuore che vorrebbe regalargli per magia tutta la forza di cui può essere capace solo una donna.
All'improvviso nella vita di Leo tutto diventa bianco, come il sangue di una persona che ha una malattia in grado di spegnere, consumare, tutto il rosso che abbiamo nel corpo. Bianco come il dolore folle di chi non sa minimamente come si fa ad affrontare una malattia del genere, come la paura che ci fa scappare, correre lontanissimo, più in fretta che possiamo, lontani dalla morte.
Ed è scritta con un cuore semplice e una penna delicata, questa storia di adolescenti ricchi e per bene. è scritta da un professore di liceo che ha messo in ogni riga non solo i sentimenti, ma anche molte citazioni, immagini e rimandi che brillano di saggezza. Per tutti coloro che si aspettano l'ennesimo romanzo di formazione sarà una sorpresa. Così come lo è scoprire che l'adolescenza è molto di più di un'età, è un vento ineffabile e folle che ci scompiglia la vita"

giovedì 25 novembre 2010

Amor fati di Marcello Veneziani

Un libro interessante, molto erudito e con un linguaggio un po' criptico.
Veneziani è un pensatore raffinato, senza dubbio, ma ha scritto di meglio secondo me.
In questo saggio ha affrontato un argomento grande, in modo monotematico e quindi non ha potuto far altro che spaziare fra infiniti mondi.
Comunque un libro utile, perchè stimola la riflessione e non lascia soli davanti al destino. Una visione di certo non pessimistica, ma di certo un po'... FATAlista.


Da leggere.


Dalla quarta di copertina: "Nel senso corrente, il destino è pensato come un crudele gendarme che strappa alla vita inchioda a una sorte. In realtà il destino radica l'essere nell'avvenire, dà senso all'accadere, connette l'esistenza a un disegno e a una persistenza. Essere è avere un destino." Oggi viviamo in un deserto di senso gremito di accessori. Abbiamo tutto, meno il senso della vita. E per la prima volta avvertiamo un cortocircuito di spazio e tempo, che produce insieme sradicamento, cioè perdita irreparabile di un luogo percepito come casa e rifugio, e "attimismo", cioè scomparsa del passato e del futuro nel gorgo del presente. Liberarci dal destino non ci ha restituito la libertà e il senno, ci ha lasciati in balìa del caso, un tiranno ancor più cieco e più folle. È possibile oggi ripensare il destino per riconoscere un disegno intelligente alla vita al di fuori dei determinismi della scienza? Marcello Veneziani affronta il tema del destino spostando la chiave di lettura "ad altezza d'uomo" e passando dal fato in sé - entità metafisica e solenne - ai suoi amanti, ovvero a chi davanti al tramonto di storia, fede e pensiero non finge che nulla sia accaduto, non vuol tornare indietro e nemmeno si congratula per la liberazione avvenuta, ma riparte dal pensiero in relazione alla realtà e alla presente tabula rasa. Un tentativo di superare Nietzsche e il nichilismo, riallacciandosi ai classici e alla tradizione neoplatonica, fino a Simone Weil e a Maria Zambrano"

Veneziani M., Amor fati. La vita tra caso e destino, Mondadori 2010

martedì 2 novembre 2010

L'uomo artigiano di Richard Sennett

E' un libro che fa riflettere. Sulle cose più elementari e scontate della nostra vita quotidiana. Talmente scontate che non le notiamo nemmeno più.
L'uso delle mani ad esempio, è diventata un'abilità sottotono.
L'uso delle mani come abilità collegata al pensiero, alla deduzione, alla esecuzione ragionata.
Il "saper fare" si è spostato tutto sulle abilità intellettuali. Saper usare le mani è solo saper usare una tastiera, un video touch screen, un mouse, un telecomando, una pulsantiera di una macchina. Come in videogioco.
La capacità di osservazione, di deduzione e di riparazione l'abbiamo definitivamente persa. Se si rompe qualcosa, qualcosa di concreto, semplicemente la sostituiamo, se non addirittura ricompriamo direttamente tutto: abbiamo Ikea, Leroy Merlin, Trony, Ebay. Nemmeno la osserviamo per capire com'è fatta e magari basta sostituire una vite.

La nostra attività è diventata attività del consumo; funzionale al consumo.

E alla fine le nostre mani si distaccano sempre di più dalla nostra mente: trattano il virtuale come fosse il reale e se un Iphone ci mette a disposizione una applicazione che riproduce il freddo o il caldo sul video del telefonino, restiamo estasiati come una grossa conquista del progresso.
Abbiamo il fuoco e il ghiaccio in natura, ma preferiamo le loro imitazioni virtuali.

Re-imparare ad usare le mani, acquisire la manualità, significa ri-abituare la mente ad emanciparsi e a stimolare il proprio spirito di sopravvivenza.


Un esempio concreto raccontato da Mauro Corona.
Due coniugi si sono persi durante un'escursione in un bosco e sono stati ritrovati morti assiderati alcuni giorni dopo. In tasca, uno dei due, aveva un'intera scatola di fiammiferi.
I due sono morti, perchè incapaci di accendere un fuoco per riscaldarsi. Drammatico, ma vero.

Dalla quarta di copertina: "Saper fare bene le cose per il proprio piacere: una regola di vita semplice e rigorosa che ha consentito lo sviluppo di tecniche raffinatissime e la nascita della conoscenza scientifica moderna. Fabbri, orafi, liutai univano conoscenza materiale e abilità manuale: mente e mano funzionavano rinforzandosi, l'una insegnava all'altra e viceversa. Ma non è il solo lavoro manuale a giovarsi della sinergia tra teoria e pratica. Perché chi sa governare se stesso e dosare autonomia e rispetto delle regole, sostiene Sennett, non solo saprà costruire un meraviglioso violino, un orologio dal meccanismo perfetto o un ponte capace di sfidare i millenni,ma sarà anche un cittadino giusto. L'uomo artigiano racconta di ingegneri romani e orafi rinascimentali, di tipografi parigini del Settecento e fabbriche della Londra industriale, un percorso storico attraverso cui Sennett ricostruisce le linee di faglia che separano tecnica ed espressione.arte e artigianato, creazione e applicazione. Il miglior esempio di "saper fare" moderno? il gruppo che ha creato Linux, gli artigiani della moderna cattedrale informatica"

mercoledì 6 ottobre 2010

Il cerchio celtico di Bjorn Larsson

Una storia bella, dalle atmosfere coinvolgenti. Certamente un libro per gli amanti del mare e della navigazione.
Per gli altri, che hanno avuto poco (o niente) a che fare col mare, emergono due aspetti interessanti in più: un'idea ben rappresentata delle emozioni e sensazioni di cosa significhi andar per mare e il cogliere una sottile ironia sottesa al linguaggio marinaresco, fatto di termini propri ed esclusivi: "... saltai dal pozzetto alla tuga aggirando il boma e facendo attenzione alla strambata e a non inciampare sulle bitte..."
Di sapore New Age
Da leggere all'aperto, magari in riva al mare d'inverno!
Dalla quarta di copertina: "Una storia dei giorni nostri, un thriller marinaro ambientato negli anni Novanta che ci porta al Nord, in epiche traversate di mari in tempesta, dalla Danimarca alla Scozia, tra venti scatenati e onde che si ergono come muri d'acqua, in inseguimenti e fughe a vela, in compagnia di Ulf e Torben e il loro Rustica, sulle tracce di MacDuff e Mary e del misterioso Cerchio Celtico, quell'organizzazione segreta che in Irlanda, Scozia, Paesi Baschi e Bretagna persegue con ogni mezzo il sogno di liberazione del popolo celtico"



Larsson B., Il cerchio celtico, Iperborea 2000

venerdì 24 settembre 2010

La libraia di Orvieto di Valentina Pattavina

La trama è un po' scontata. La storia anche. La narrazione piatta e la descrizione dei personaggi idealista e non verosimile.
Sembra più un desiderio che una storia. C'è un conflitto scialbo.
Insomma una delusione.
Speravo che almeno ci fossero delle belle "foto letterarie" su Orvieto, invece niente, perchè dà per scontato che la si conosca benissimo la città e comunque il bello delle descrizioni letterarie è il "punto di vista" e la trasmissione emozionale.
Il finale poi... dire che fosse scontato è dir poco.

Se non avete di meglio da fare leggetelo. Ma in fretta!


Dalla quarta di copertina: "Matilde, una quarantenne romana solitaria e dall'animo ferito, si reca a Orvieto, città antica e bellissima, abbarbicata su una rocca giallastra di tufo, per cercare rifugio. Viene accolta da una comunità semplice e compatta, da un gruppo variegato ed eterogeneo di persone le cui esistenze si intrecciano a formare una catena indissolubile. Al centro della vita di Matilde ci sono da sempre i libri, e adesso anche la libreria in cui le offrono lavoro, per metà antiquaria e per metà moderna. Le sue giornate si dipanano secondo ritmi lenti, a piedi o in sella all'inseparabile bicicletta, alla continua scoperta di scorci della città e dell'animo umano. Gli eventi e i passaggi di tempo sono scanditi dalle sue letture, come se tra le righe di un racconto o i versi di una poesia si nascondesse il mistero del suo dolore, i suoi bubboni mai risolti. Ma anche Orvieto ha i suoi segreti, celati nelle case, nelle viscere dei pozzi, nei boschi di castagni che la circondano. Sarà un castagno millenario e maestoso ad aprire e chiudere la storia, a mostrarci il corpo di un impiccato appeso a uno dei suoi rami, in una cornice oscura e dai contorni imperscrutabili; un fatto accaduto dieci anni prima e ormai dimenticato, che torna alla ribalta per un caso fortuito e condizionerà pesantemente le sorti dell'intera comunità."



Pattavina V., La libraia di Orvieto, Fanucci 2010

giovedì 16 settembre 2010

La lunga estate calda del commissario Charitos di Petros Markaris

Un romanzo molto gradevole e soprattutto molto etnico. Mediterraneo. Si intravedono molti aspetti della vita in Grecia e dei greci. Aneddoti che a volte sfociano nel luogo comune.

La trama è sempre azzeccata e la forza della storia anche.

Proverbiale l'affermazione del commissario proprio sui greci: "Chiedi a dieci greci di fare una cosa. Nove di essi ti diranno subito che è impossibile, per poi inseguirti quando stai per andartene"

Non leggetelo in traghetto!



Dalla quarta di copertina: "Quando un gruppo di nazionalisti greci si impossessa di un traghetto con trecento passeggeri a bordo, il commissario Charitos capisce subito che non sarà un caso come gli altri: su quella nave c'è sua figlia Katrina. Inizia così un'indagine che metterà con le spalle al muro il poliziotto che ama dire di sé "non sono un Rambo, ma un greco complessato", ma questa volta dovrà stare a guardare impotente mentre l'indagine è affidata alla squadra antiterrorismo. Un intrigo di crimine, politica e mass media rivela un'Atene tentacolare e piena di insidie, in cui Charìtos si muove con la consueta sagacia e ironia, ma alla ricerca del filo rosso che leghi tra loro i delitti che insanguinano le notti in città. Ancora una volta, le misteriose atmosfere noir della capitale greca fanno da sfondo a un giallo avvincente, dal ritmo serrato"

Markaris P., La lunga estate calda del commissario Charitos, Bompiani 2009

mercoledì 15 settembre 2010

Prendersi cura di se stessi di Antonio G. Balistreri

Continua il dibattito intorno alla pratica filosofica. Per capire fondamentalmente se davvero la pratica filosofica possa aiutare ad una riflessione esistenziale o meno. Ma se così fosse, perchè l'esigenza di specializzarla? Non dovrebbero filosofeggiare tutti, comunque, a prescindere? Non era, di fatto una pratica comune a tutti nell'antichità? C'è forse bisogno di "patologizzare" il disagio per giustificare un intervento specialistico?



Dalla quarta di copertina: "Questo libro si basa su tre argomenti tra loro strettamente connessi. Presenta un'idea di filosofia, un'idea della cura e un'idea dell'uomo. L'assunto di partenza è che la cura è parte costitutiva dell'uomo e che la filosofia è la forma della cura. In sostanza vede l'uomo come un essere bisognoso di cura e la filosofia stessa come cura. Se "cura" si può dire con molti significati, uno in particolare qui emerge con forza: quello della filosofia come terapeutica dell'esistenza. Il recupero attuale di una dimensione pratica della filosofia, e del suo ruolo terapeutico, passa attraverso il prendersi cura dell'esistenza in modo da affrontare i mali che le sono connaturati e da evitare o superare quelli che dipendono da noi. "Una medicina dell'anima diceva Cicerone - esiste di certo, ed è la filosofia"

Balistreri A.G., Prendersi cura di se stessi. Filosofia come terapeutica della condizione umana, Apogeo 2006

giovedì 9 settembre 2010

Il razzista totalitario. Evola e la leggenda dell'antisemitismo spirituale di Gianni Scipione Rossi

Questo piccolo e sobrio libro è molto interessante, anche per capire come un personaggio così controverso, abbia potuto affascinare generazioni di persone che sono entrate nella sfera "dannata" dell'estremismo violento degli anni '60 e '70. Il merito di questo saggio risiede principalmente nel fatto che viene visto con gli occhi critici di uno di destra, certamente non estremista, ma comunque più vicino di altri a quell'area di riferimento. Le sue critiche quindi sono scevre da qualsiasi semplificazione di parte. E che critiche! Piuttosto feroci e demolenti, non tanto dell'uomo Evola, quanto del "mito Evola".
L'introduzione poi è molto bella, perchè l'autore descrive parte della propria esperienza giovanile.
Si legge molto bene e lo consiglio vivamente.


Dalla quarta di copertina: "A più di trent'anni dalla morte, Julius Evola è ancora un punto di riferimento ideologico per il mondo della destra radicale. Resistono il suo mito di filosofo antimoderno e la leggenda di un suo razzismo innocuo perché "spirituale". Ma ha un senso distinguere il razzismo "spirituale" dal razzismo biologico? Fornire al razzismo/antisemitismo motivazioni "spirituali" modifica la sostanza del pregiudizio? Le teorie di Julius Evola sono realmente solo "spirituali" oppure sono soltanto un tentativo non riuscito di edulcorare la sostanza del razzismo/antisemitismo? Per Evola non si può parlare di una "parentesi" razzista, ma di un razzismo radicale e persistente che il pensatore tradizionalista mette al servizio della svolta mussoliniana, anche a costo di adattarne i contenuti alle esigenze politiche del fascismo, senza mai criticare le leggi razziali, se non perché applicate in modo troppo moderato a causa delle "discriminazioni". L'evoliana "razza dello spirito" non sfugge al determinismo biologico e anzi si risolve in un razzismo totalitario, più esigente, che differisce da quello del "Manifesto della razza" solo per la definizione di quella italiana come razza "ario-romana" piuttosto che "ario-nordica""

Dalla recensione de L'INDICE di Francesco Germinario: "A destra il libro è passato inosservato, ovvero ha avuto qualche recensione critica. Et pour cause… L'autore, un intellettuale organico della destra di An, propone di relegare in soffitta l'autore più celebrato dell'area. Nelle prime pagine, Rossi confessa di non avere subìto in gioventù – il riferimento è alla prima metà degli anni settanta – l'influenza del pensiero evoliano, essendo legato a una visione più pragmatica e meno ideologica della destra. In ogni caso, non si governa con Evola; così Rossi propone la sua Fiuggi culturale: "Il problema è quanto il suo catastrofismo apocalittico – quel suo torcicollo metastorico – sia compatibile con una destra moderna e modernizzatrice, politicamente riformista e non reazionaria, pragmatica e non ideologica". Ben detto. C'è un secondo motivo che rende il saggio interessante. Per decretare l'abbandono di Evola, Rossi affonda il coltello nella parte più delicata – non per la storiografia, ma per gli evolomani – del corpus teorico-politico evoliano, il suo razzismo, che a destra hanno reso sempre periferico. Insomma, sembra suggerire Rossi alla destra, Evola non è presentabile perché razzista. Del resto, Rossi considera appunto una "leggenda", come recita il sottotitolo, il razzismo dello spirito. Questo mira non al superameto dell'impostazione biologica, bensi alla sua "integrazione". Il che significa che non era un razzismo esattamente contrario a quello nazista, come hanno sempre preteso i suoi estimatori, ma "più raffinato ed efficace, nel quale sono malcelate – dietro fumogeni lessicali – le suggestioni della concezione della razza in voga all'epoca del romanticismo e del darwinismo sociale". Anche qui ben detto. Abbiamo citato dal sottotitolo; ma forse migliore è il titolo: quello di Evola – proprio per le sue pretese spiritualiste – fu un razzismo totalitario; come, è il caso di aggiungere, qualsiasi posizione antisemita"

Scipione Rossi G., Il razzista totalitario. Evola e la leggenda dell'antisemitismo spirituale, Rubbettino 2008

giovedì 22 luglio 2010

Momo di Michael Ende

Un grande romanzo fiabesco, dell'altrettanto grande Michael Ende, l'autore de "La storia infinita", uno di quei romanzi per i quali ti chiedi se la definizione "Narrativa per Ragazzi" sia effettivamente riduttiva (e certamente lo è).
Ende affronta uno degli argomenti più difficili del pensiero filosofico di tutti i tempi: Il tempo. Ma lo fa con la semplicità di una fanciulla e di come le cose più semplici siano alla fine le più profonde e le cose più complicate rivelino soltanto la confusione e le contraddizioni del vivere più che la complessità dell'anima.
La domanda implicita che Ende evidenzia attraverso i personaggi del racconto è "Come mai, nonostante corriamo sempre di più e facciamo di tutto per "risparmiare tempo", facendo sempre più cose nel minor tempo possibile e più velocemente; di tempo, noi, ne abbiamo sempre di meno?".
E Scusate se è poco! Un dilemma filosofico universale, che parte da Seneca ed arriva a Nietzsche!
E' la contraddizione del moderno o, per dirla con Nietzsche, è il nichilismo generato dal trionfo della tecnica sull'uomo e sul divino.
Un libro che i ragazzi dovrebbero consigliare ai propri genitori sempre affannati e indaffarati.
E se i grandi, cari ragazzi, dovessero rispondervi che hanno poco tempo per leggere, allora dovrete leggerglielo voi... la sera, prima di andare a letto, spegnendo loro la televisione (la vera, per dirla con Karl Popper, "ladra di tempo"! [Popper K., Cattiva maestra televisione])
Infine, vi ripropongo l'indovinello contenuto nel libro:
In una casa ci stan tre fratelli
che a volte son brutti e a volte belli.
Essi sono realmente
l'un dall'altro differente.
Ma se a distinguerli tu proverai
uguali identici li troverai.
Il primo non c'è perché sta giungendo.
Il secondo non c'è perché sta uscendo.
C'è solo il terzo, il minore dei tre,
ma non ci son gli altri se il terzo non c'è.
E questo terzo su cui mi diffondo
esiste solo perché nel secondo
il primo si trasforma, moribondo.
Se poi guardare tu lo vorrai
uno degli altri fratelli vedrai.
Dimmi, bambina, i tre sono uno?
o solo due? — oppure nessuno?
Se il loro nome tu troverai
tre grandi sovrani ravviserai.
Essi governano insieme un gran regno
e loro stessi sono il gran regno
e sono uguali dentro il gran regno».
Troverete la soluzione nel libro!
Dalla quarta di copertina: "Tra le rovine di un anfiteatro, ai margini di una grande città, trova rifugio una strana bambina, che, fuggita dall'orfanotrofio non conosce nemmeno la propria età. Agli abitanti dei dintorni, che la guardano incuriositi, dice di chiamarsi Momo. Non passa molto tempo che la bambina si conquista la fiducia e la simpatia di tutti, chiunque abbia un problema va da Momo che non dà consigli e non esprime opinioni, si limita ad ascoltare con un'intensità tale che l'interlocutore trova da solo la risposta ai suoi quesiti. Un giorno gli agenti di una sedicente Cassa di Risparmio del Tempo si presentano anche nel microcosmo costituito da Momo e dai suoi amici. Tutti cadono nella trappola dei "Signori Grigi", e Momo deve affrontare da sola la situazione ..."
Dalla recensione de "L'Indice" (scheda di Levi Montalcini, A., L'Indice 1985, n. 1): "Vivere consuma il tempo ma ne conserva la qualità vitale, risparmiare il tempo spegne la vita e distrugge così il tempo. La fiaba di Ende racconta l'antico conflitto tra la vita e la morte in termini più sottili e moderni: a Momo, la bambina capace di ascoltare tanto da udire e fare udire le musiche, i silenzi e le avventure della vita interiore, si oppongono i Signori Grigi, nebbiosi, freddi e insinuanti che possono trasformare la vita in un vuoto insensato e ripetitivo e il cuore umano in un luogo sterile e chiassoso. La lotta di Momo contro i Signori Grigi si anima di continue invenzioni: il vortice vagante che crea le tempeste, la tartaruga Cassiopea che prevede il futuro, ma solo per la prossima mezz'ora, la stanza degli orologi di Maltro Hora, il custode del Tempo, e il luogo onirico di dove sgorgano e nascono le ore. La ricchezza delle immagini compensa i momenti più rari, in cui il conflitto non riesce ad attingere alla dimensione fiabesca."
Ende M., Momo, Longanesi 1984

lunedì 19 luglio 2010

L'ospite inquietante di Umberto Galimberti

Fra le domande "inquietanti" del nostro tempo vi è anche e soprattutto quella relativa ad una riflessione sulle nuove generazioni.
Inutile certamente vivere di fisiologiche nostalgie; (il "si stava meglio ai miei tempi" è un'affermazione valida in tutte le epoche) anche perchè tali nostalgie, come affermava Norberto Bobbio in "De senectude", celano la propria personale nostalgia per la propria giovinezza ed il proprio tempo andato e non un'oggettiva analisi dell'evoluzione/involuzione della società e dei suoi costumi e valori.
Ma un dato è certo: le generazioni precedenti (i padri e i nonni dei giovani d'oggi), non hanno saputo trasferire i propri valori alle generazioni future. E questa anomia è più grave del trasferimento di qualsiasi valore; perchè contro il vuoto non ci si può ribellare e non è facile sviluppare una coscienza civile o un senso critico.
Il dato più inquietante infatti, non è la ribellione (anche questa fisiologica) ai valori tradizionali o in tal caso ai valori nati dai movimenti degli anni '70, da parte delle giovani generazioni, ma l'assenza assoluta di valori e quindi l'impossibilità di contestare il nulla.
Non tanto per giustificare le giovani generazioni ed i loro comportamenti, le loro indolenze e pigrizie, ma per capire meglio come siamo potuti arrivare a questo come società.
Il nichilismo è figlio legittimo del relativismo, della democratizzazione globalizzata in ogni ambito. Tutto è lecito, basta che sia "attuale".
L'unico riconoscimento rimane l'attualizzazione, il tempo. Quindi anche i valori, al pari delle merci e degli oggetti, si consumano ed anche piuttosto in fretta!

Per il resto si può dire tutto ed il contrario di tutto, quindi NULLA!

Fondamentale l'affermazione dell'autore secondo il quale la precedente generazione guardava al futuro con speranza, mentre i nostri giovani hanno paura del futuro!


Da leggere. Ed anche in fretta: prima che sia davvero troppo tardi!


Dalla quarta di copertina: "Il nichilismo, la negazione di ogni valore, è anche quello che Nietzsche chiama "il più inquietante fra tutti gli ospiti". Si è nel mondo della tecnica e la tecnica non tende a uno scopo, non produce senso, non svela verità. Fa solo una cosa: funziona. Finiscono sullo sfondo, corrosi dal nichilismo, i concetti di individuo, identità, libertà, senso, ma anche quelli di natura, etica, politica, religione, storia, di cui si è nutrita l'età pretecnologica. Chi più sconta la sostanziale assenza di futuro che modella l'età della tecnica sono i giovani, contagiati da una progressiva e sempre più profonda insicurezza, condannati a una deriva dell'esistere che coincide con il loro assistere allo scorrere della vita in terza persona. I giovani rischiano di vivere parcheggiati nella terra di nessuno dove la famiglia e la scuola non "lavorano" più, dove il tempo è vuoto e non esiste più un "noi" motivazionale. Le forme di consistenza finiscono con il sovrapporsi ai "riti della crudeltà" o della violenza (gli stadi, le corse in moto). C'è una via d'uscita? Si può mettere alla porta l'ospite inquietante?"

Galimberti U., L' ospite inquietante. Il nichilismo e i giovani, Feltrinelli 2007

giovedì 15 luglio 2010

Il Procuratore di Andrea Vitali

Un bel romanzo.
Certamente non il migliore fra quelli di Vitali (come ad esempio "La figlia del podestà").
Una trama funzionante, anche se in certi passaggi un po' scontata. Quasi obbligata visto il tema narrativo.
Sempre magistrale la descrizione della provincia italiana del nord! Spassosa anche la costruzione dei personaggi.
Se volete distrarvi fra un sonnecchiamento in spiaggia (ideale se andate in vacanza sul lago di Como...) e un bagno, è l'ideale e leggero romanzo italianissimo.

Dalla quarta di copertina: "Protagonista è uno dei personaggi nati dalla fantasia di Andrea Vitali (e forse rubati almeno in parte alla realtà della sua Bellano). Perché Marco Perini, il protagonista di questo romanzo ambientato negli anni del fascismo, di mestiere "procura" ragazze giovani e disponibili vivendo tra pensioncine e bordelli. Intorno a questo imprevedibile flâneur, si muovono marescialli puntigliosi, belle ragazze, uomini innamorati, albergatori in cerca d'evasione..."

Vitali A., Il procuratore, Garzanti 2006

martedì 13 luglio 2010

Il libro della quiete interiore di Gerd B. Achenbach

Un libro che non poteva non venire dal fondatore della Consulenza Filosofica.
Conferma come l'utilità della filosofia si concretizzi in uno dei principi della Stoa che ci ricorda l'autore: "L'importante non è sapere di filosofia, ma vivere con filosofia". Un conto è filosofeggiare, ovvero autoreferenziarsi nella nozione e nella conoscenza pura, ma non orientando i propri sforzi a nulla di costruttivo; mentre è molto più importante il filosofare, ovvero vivere in modo filosofico, seguendo cioè i principi e la guida di uomini saggi vissuti decine migliaia di anni fa.
Di tutte le nostre umane attività, esiste un senso, che va oltre il meccanismo psicologico e sociologico.
Di tutte le vicende della vita, dalla nascita alla morte, dalla felicità alla malattia, esiste un senso, che va oltre la spiegazione tecnico-scientifica.
Leggere fra le righe di questo piacevole libro, le lettere di Seneca o di Epitteto o le riflessioni di Montaigne e Nietzsche, fa riflettere. Prima di tutto per l'attualità delle debolezze dell'uomo, simili, se non uguali, negli secoli. Le preoccupazioni per i soldi e la carriera, i conflitti con i "colleghi", i dissidi con i genitori, il coniuge, i figli, la paura della malattia e della morte e il terrore per non sapere cosa c'è dopo la morte; ma anche il conformismo della massa e la forza del giudizio degli altri, la paura del cambiamento, l'emarginazione e la derisione degli innovatori, ...
Conferma che nella nostra tradizione filosofica occidentale, c'è tutto quello di cui abbiamo bisogno, senza cercare altrove, in altre tradizioni o spiritualismi vari (come ad esempio quella orientale), le risposte alle domande della vita.
Questo libro un progetto preciso ce l'ha: raggiungere la quiete interiore come viatico per la felicità.

Non è solo da leggere, ma da conservare e consultare di fronte alle piccole, come alle grandi, domande della vita, andando ad approfondire la lettura dei classici proposti.

Dalla quarta di copertina: "Achenbach presenta una serie di riflessioni filosofiche sul tema della quiete, che consiste sì nella tranquillità dell'animo, ma anche in una certa dose di indifferenza e di leggerezza, in un misurato equilibrio delle passioni e in una consapevole accettazione del proprio destino, così che proprio la quiete interiore, intesa come assenza di turbamento diventa la condizione per la felicità, se non addirittura la felicità stessa. Un pensiero, questo, che ha origine nella Stoa, del cui spirito è impregnato tutto il libro di Achenbach, per il quale la filosofia stoica "è la saggezza di una coscienza che presta attenzione alla vita", "uno sforzo teso alla riuscita della vita", e ancora è "la moderazione degli affetti che solitamente ci spingono di qua e di là"

Achenbach G.B., Il libro della quiete interiore, Apogeo (collana pratiche filosofiche)

venerdì 9 luglio 2010

Adesso basta! di Simone Perotti

Il commento a questo libro necessita di una premessa di commento alle reazioni che il libro stesso ha suscitato.
Ho letto commenti contrastanti fra i lettori. Molti entusiastici (anche se poco concreti a mettersi in discussione... insomma un bel sogno romantico), ma molti estremamente severi ed alcuni perfino di rabbia. Eccessivamente.

Evidentemente qualcosa di vero c'è in questo libro, se è vero che ogni nuova scoperta nella storia viene inizialmente accompagnata dalla derisione, poi dalla lotta e infine dall'ovvia e scontata accettazione.

Credo però che le critiche non siano rivolte all'autore in modo diretto, ma all'idea stessa che comincia a mettere in discussione un modello di vita che sembrava incrollabile fino a qualche tempo fa. Mettere in dubbio che "il lavoro nobilita l'uomo", pare ancora inaccettabile come idea, anzi anche solo come possibilità alternativa al conformismo.
In tempi di crisi e disoccupazione, questo libro quindi, appare perfino blasfemo.

Forse è proprio questo che fa arrabbiare molti contro Perotti, accusandolo di snobismo e falsità (non è vero, non è possibile, hai scritto il libro solo per vendere...).
Ma questa è invidia. Invidia doppia, perchè alcuni sembrano invidiare la sua nuova vita, mentre altri invidiano in realtà la sua vecchia vita di successo!
Chi afferma, ad esempio, che guadagnando solo 1000 euro al mese, non può permettersi una scelta del genere, fa un'affermazione illogica.
Infatti, secondo logica, chi guadagna 1000 euro al mese (e sta male) avrebbe da "perdere" meno a lasciare il lavoro, rispetto a chi ne guadagna 3-5000...

Invidia quindi, ma anche paura, soprattutto di mettersi in discussione.

Il libro in generale è molto stimolante.
Prima di tutto è una bella storia di vita e in secondo luogo è interessante per gli stimoli e le riflessioni che suscita.

Cambiare abitudini e stile di vita è comunque qualcosa che ci permette di vivere meglio OGGI.
Ci fa sentire meno dipendenti dalle cose.
"Abbi, come se non avessi nulla e vivrai più libero" affermava Seneca.

Lo consiglio vivamente.

Dalla quarta di copertina: "Ne abbiamo abbastanza. Lavorare per consumare non rende felici. Lo sappiamo tutti, ma come uscirne? Cambiare vita da soli sembra una scelta troppo faticosa. Addirittura impossibile. Invece no. Il downshifting ("scalare marcia, rallentare il ritmo") è un fenomeno sociale che interessa milioni di persone nel mondo (complice anche la crisi). Ma non si tratta solo di ridurre il salario per avere più tempo libero. Simone Perotti propone qui un cambio di vita netto, verso se stessi, il mondo che ci circonda, le abitudini, gli obblighi, il consumo. La rivoluzione dobbiamo farla a partire da noi, riprendendoci la nostra vita per essere finalmente liberi. Come ha fatto l'autore, che racconta la sua esperienza entrando nel merito delle conseguenze economiche, psicologiche, esistenziali, logistiche. Dire no non basta per essere felici. L'insicurezza economica cui andiamo incontro è anche un'occasione per ripensarci."

giovedì 8 luglio 2010

Flatlandia di Edwin Abbott

Il racconto è diviso in due parti. Nella prima parte il narratore, un quadrato, descrive brevemente il mondo di Flatlandia. Questo è un mondo bidimensionale e gli abitanti di questo mondo sono delle figure geometriche che si muovono su un piano che per loro è l'universo. Nella seconda parte del racconto il quadrato racconta il suo incontro con una sfera proveniente da Spacelandia (il mondo a tre dimensioni) che lo illumina sulla presenza della terza dimensione. In seguito il quadrato racconta di come gli abitanti di Flatlandia abbiano reagito (male) al suo tentativo di spiegare la presenza di una terza dimensione. In Flatlandia la società è rigidamente divisa in gerarchie e la suddivisione si basa sull'aspetto fisico. Nello specifico, sul numero di lati che formano le figure. Nel mondo di Flatlandia un maggior numero di lati (o meglio, un angolo più largo) viene associato a maggior intelligenza e quindi a lavori migliori e di maggior responsabilità. In questo mondo ogni individuo può sperare in un'ascesa sociale sua o eventualmente della sua prole, anche se in realtà solo un ridottissimo numero di individui riesce a migliorare la propria posizione sociale. La remota possibilità d'elevazione sociale viene utilizzata dalla classe dominante per mantenere pacifico il popolo e in caso di rivolte l'elevazione di classe viene utilizzata per allettare i capi delle rivolte e quindi per far fallire tutte le rivolte in Flatlandia. Uno speciale spazio viene riservato alle donne che in quell'universo sono delle linee e quindi, essendo dotate solo di due lati e di un angolo pressoché zero, sono di memoria e intelligenza nulla, inversamente proporzionale alla querulità (non ricordando quello che dicono, lo dicono continuamente, ohi...). Inoltre avendo un angolo acutissimo possono accidentalmente distruggere qualsiasi altra figura geometrica al contatto, e sono costrette a dimenarsi continuamente e ad emettere il 'grido di pace' per segnalare la loro presenza (se venissero incontro altrimenti la visione bidimensionale sarebbe puntiforme, quindi invisibile-pericolosissime quindi!).
Beh leggendo fin qui uno potrebbe anche dire, che palle, perchè dovrei leggermi un libretto satirico dell'800 scritto da un prete con la faccia simpatica? Per almeno due motivi: il primo è che ci vuole molta fantasia a scrivere un libro così, e troverete delle invenzioni nel libro che vi faranno ridere e stupire. La seconda è che il racconto, passando in secondo piano la satira della società vittoriana (non è poi cambiato moltissimo, cmq), è della categoria protagonista contro se stesso (molto facile identificarsi;-): infatti a lui la rivelazione gli cade come una disgrazia! lui ci sta bene nella società a due dimensioni, ma comincia a metterla in discussione con riluttanza quando l'angelo della terza dimensione gli fa la rivelazione, a lui tra mille e ogni mill'anni. E' sempre combattuto, in fondo le regole e credenze dei cerchi (i massimi poteri) sono sagge, e si è visto cosa è successo quando non si è dato rettta, e poi questa terza dimensione che non si riesce proprio a capire. Sarà un sogno, e un pò di ragionamento a mettere in moto in modo inarrestabile e ineluttabile il nostro protagonista. Quando supererà l'angelo suo maestro, però.... basta! che sennò ve lo racconto. Il libro è un must fra i matematici, perchè mostra come fantasia e ragionamento possono distruggere un mondo e rivelarne un altro che non esisteva agli occhi di nessuno (ma anche che ampliare la propria visione può essere un tantino lacerante.... e questo non vale solo per i matematici).

mercoledì 7 luglio 2010

La consulenza Filosofica di Gerd B. Achenbach

Un approccio alla filosofia pratica molto concreto.
A volte un po' ostico e teorico, il testo però ci fa appassionare proprio alla pratica che esso stesso propone: pensare (cogitare) sulle cose che accadono, sugli avvenimenti, sulle emozioni e sui comportamenti sia a livello collettivo che a livello individuale.

Tutto ha un senso. E da tutto, per il solo fatto di pensare, si può trarre vantaggio ed insegnamento, anche dalle vicende più dure e drammatiche della nostra vita.
Inoltre, le riflessioni di uomini saggi di molti secoli fa ci fanno sentire in buona compagnia e relativizzare (poichè le vicende della nostra vita non sono poi così originali e soprattutto nuove!)

Non aspettatevi di trovare delle risposte puntuali (quasi fossero delle moderne FAQ) a problemi e questioni nodali, ma imparate e scoprite la forza energica del filosofare (pensare, cogitare) e dell'usare la logica. Vi accorgerete che sarà una scoperta entusiasmante, scoprendo in voi capacità sopite e spesso atrofizzate, standardizzate, conformate e impigrite.

Due massime mi vengono in mente per questo ottimo "eserciziario": Conosci te stesso e Cogito ergo sum.

Dalla quarta di copertina: "Achenbach è il fondatore della "Philosophische Praxis", forma principale di consulenza filosofica. Il volume raccoglie i saggi fondamentali, in cui ha presentato il suo lavoro e ne ha discusso finalità e modalità. Per Achenbach la consulenza filosofica "non si occupa dei sistemi filosofici, non prescrive alcun filosofema, non costruisce alcuna filosofia, non somministra alcuna visione filosofica, ma mette in movimento il pensiero: filosofa", quindi deve riflettere produttivamente su casi concreti. Insomma: l'aiuto che il consulente filosofico può dare a chi lo consulta non sta nel "curarlo" o nel fornirgli una "verità" preconfezionata, ma nel metterlo in grado di pensare, nel dialogo con altri."


Dalla recensione di INDICE: "Che cos'è la consulenza filosofica? A che cosa serve e come si fa? Chi si rivolge a un consulente fìlosofico? E perché non opta invece per uno psicoterapeuta, uno psicologo o un consigliere spirituale? Gerd B. Achenbach, considerato il padre della consulenza filosofica, in un libro introduttivo alla disciplina spiega le caratteristiche di questa particolare filosofia applicata, che rappresenta oggi una sempre più diffusa alternativa alla psicoterapia. L'autore affronta i diversi temi e problemi di una filosofia che vuole rendersi utile alla vita quotidiana, pratica e concreta della gente. L'individuo che prova disagio, incertezza, delusione, insoddisfazione per la propria esistenza può rivolgersi al filosofo per cercare risposte alle domande che l'assillano. Domande sul senso della vita, sulla propria identità, le domande di chi desidera capire ed essere capito. Il consulente filosofico non ha risposte prestabilite da dare, pillole di saggezza da trasmettere, ma il confronto con lui può aiutare a riflettere, a chiarirsi le idee, a vedere nuove prospettive. Ed è questo lo scopo di quel work in progress che è la consulenza filosofica, un dialogo libero e aperto che riporta alle origini della filosofia stessa."


Achenbach G.B., La consulenza filosofica. La filosofia come opportunità di vita, Feltrinelli 2009

lunedì 5 luglio 2010

Vicolo Cannery di John Steinbeck

“Il vicolo Cannery a Monterey in California è un poema, un fetore, un rumore
irritante, una qualità della luce, un tono, un’abitudine, una nostalgia, un sogno.
Raccolti e sparpagliati nel Vicolo Cannery stanno scatole di latta e ferro e legno
scheggiato, marciapiedi in disordine e terreni invasi dalle erbacce e mucchi di rifiuti,
stabilimenti dove inscatolano le sardine coperti di ferro ondulato, balli pubblici,
ristoranti e asili notturni. I suoi abitanti sono, come disse uno una volta “Bagasce,
ruffiani, giocatori e figli di mala femmina”, e intendeva dire: tutti quanti. Se costui
avesse guardato attraverso un altro spiraglio avrebbe potuto dire: “Santi e angeli e
martiri e uomini di Dio”, e il significato sarebbe stato lo stesso.”

Come nei suoi più famosi romanzi, Steinbeck tratta di piccole comunità povere e ai margini della società. Questa in particolare è quella che ruota intorno al quartiere di Monterey dove sbarcano i pescherecci e vengono lavorate le sardine nei grossi stabilimenti. Facendosi trascinare dentro questo pianeta, dapprima un po’ incomprensibile, poi sempre meno, il lettore si accorgerà che non tutto è come sembra, come è già dichiarato nell’incipit. Manca tutto, eppure tutto il meglio c’è, tanto che alla fine non sembra neanche strano che nessuno degli abitanti, se non strettamente necessario, si avventuri in ‘città’: nella povertà, valori – nell’emarginazione, solidarietà e posto e considerazione anche per i più strani figuri – nell’infingardaggine, in fondo onestà - nel rifiuto di ‘sistemarsi’ (per incapacità, o per scelta poco importa) un vivere eroico, che non conosce che avventura o ozio, senza compromessi: insomma come natura vorrebbe, tanto da far sembrare così grigia la parte normale della società (le regole della comunità cannery sono anarchiche per definizione, e la famiglia è quella che ti scegli). La pienezza esistenziale di questi bizzarri personaggi è raggiunta poi grazie alla alleanza con “doc”, un biologo che sopravvive gestendo il fatiscente Laboratorio Occidentale di Biologia, appassionato di natura, musica e letteratura, che intrattiene una strana specie di circolo culturale e pensatoio col gruppo di scansafatiche e ubriaconi (mack e i suoi ragazzi), le ragazze del bordello della Dora, e Lee Chong – il proprietario del più bizzarro emporio locale e la sua variegata clientela. Tutti vogliono organizzare una festa per doc, per dimostrare la loro gratitudine: come andrà a finire? Molto meglio che in uomini e topi... ;-) Non so se riuscirei a vivere a vicolo cannery, respirando il perenne senso di sfida: so però che con un sospiro mi sono allontanato da quei personaggi così schietti e straordinari, da sembrare straordinariamente in carne (e alcol) e ossa. anno 1945 - pre beat generation, se proprio vogliamo (e, per andare più sul recente, non ci metto la mano sul fuoco ma Lee Chong in qualche modo somiglia al tabaccaio Auggie (Harvey keytel) del film Smoke, dal libro di Paul Auster).
Mi è sempre sembrato strano, disse il Dottore. Le cose che ammirriamo negli uomini, la bontà, la generosità, la franchezza, l’onestà, la saggezza e la sensibilità, sono in noi elementi che portano alla rovina. E le caratteristiche che detestiamo, la furberia, la cupidigia, l’avarizia, la meschinità, l’egoismo, portano al successo. E mentre gli uomini ammirano le prime di queste qualità, amano il risultato delle
seconde.”

“Gli ospiti della festa ebbero appena il tempo di tornare nel laboratorio, di chiudere alla meglio la porta rotta e di spegnere la luce, prima che arrivasse l'automobile della polizia. Le guardie non trovarono nulla. Ma gli ospiti se ne stavano seduti al buio, ridendo felici e bevendo il vino. Giunse il nuovo turno del Bear Flag Restaurant. Le nuove venute arrivarono piene d'ardore. E allora la festa cominciò a diventare veramente vivace. Le guardie ritornarono, diedero un'occhiata, schioccarono la lingua, e s'unirono agli altri. Mack
e i ragazzi presero l'automobile della polizia per andare da Jimmy Brucia a prendere dell' altro vino e Jimmy li seguì. Da un capo all' altro del Vicolo Cannery si sentiva il frastuono della festa. Aveva tutte le migliori qualità di un tumulto e di una notte sulle barricate. La ciurma del battello di San Pedro ritornò, tutta umile, e si unì agli altri. I pescatori furono abbracciati e ammirati. Una donna, cinque stabili più in là, chiamò la polizia, per lamentarsi del rumore, e nessuno le diede ascolto. Le guardie fecero rapporto, dicendo che la loro automobile era stata rubata, e la trovarono poi sulla spiaggia. Il Dottore sedeva sulla tavola con le gambe incrociate e si batteva leggermente un ginocchio con le dita. Mack e Phyllis Mae s'esercitavano alla lotta indiana sul pavimento. E il vento fresco della baia passò attraverso le finestre rotte. Fu allora che qualcuno diede fuoco alla sfilza di razzi lunga venticinque piedi.”

giovedì 1 luglio 2010

Zia Mame di Patrick Dennis

Un Libro davvero spassoso!
Questo doppio protagonista(il ragazzino e la zia) rappresenta una bella trovata narrativa.
La figura di zia Mame, estroversa ed anticonformista, eccentrica ed energica, visionaria e caparbia, anche se a volte rischia di venir rappresentata dall'autore con tratti e immagini stereotipate, si riscatta quasi immediatamente (com'è giusto che sia nell'imprevedibilità stessa del personaggio), aprendosi a scenari e colpi di scena eccezionali ed anomici perfettamente adattabili all'estroversa ed eccentrica signora.


Da leggere e far leggere ad una vostra eventuale suocera... abitudinaria e priva di fantasia ;-))

Dalla quarta di copertina: "Immaginate di essere un ragazzino di undici anni nell'America degli anni Venti. Immaginate che vostro padre vi dica che, in caso di sua morte, vi capiterà la peggiore delle disgrazie possibili, essere affidati a una zia che non conoscete. Immaginate che vostro padre - quel ricco, freddo bacchettone poco dopo effettivamente muoia, nella sauna del suo club. Immaginate di venire spediti a New York, di suonare all'indirizzo che la vostra balia ha con sé, e di trovarvi di fronte una gran dama leggermente equivoca, e soprattutto giapponese. Ancora, immaginate che la gran dama vi dica "Ma Patrick, caro, sono tua zia Mame!", e di scoprire così che il vostro tutore è una donna che cambia scene e costumi della sua vita a seconda delle mode, che regolarmente anticipa. A quel punto avete solo due scelte, o fuggire in cerca di tutori più accettabili, o affidarvi al personaggio più eccentrico, vitale e indimenticabile che uno scrittore moderno abbia concepito, e attraversare insieme a lei l'America dei tre decenni successivi in un foxtrot ilare e turbinoso di feste, amori, avventure, colpi di fortuna, cadute in disgrazia che non dà respiro - o dà solo il tempo, alla fine di ogni capitolo, di saltare virtualmente al collo di zia Mame e ringraziarla per il divertimento.
Si tratta di un concentrato di comicità e cultura, in cui i grandi movimenti centrifughi che hanno colpito gli Stati Uniti negli anni Venti, dalla crisi del '29 alle avanguardie artistiche, vengono dipinti attraverso le avventure di un personaggio indimenticabile. Zia Mame, ora geisha giapponese, ora ballerina di fila, romantica moglie sudista e amazzone intrepida al tempo stesso, ogni mese della sua vita inaugura una nuova impresa epica, coinvolgendo di volta in volta il suo maggiordomo giapponese, la bambinaia irlandese, la dattilografa, il poeta, l'editore, l'agente letterario. Conduce una vita salottiera e ciarliera, in cui l'ostentazione della ricchezza, i cocktail in terrazza e le commedie sperimentali di Broadway si susseguono tra bollicine di champagne e letti di seta. La crisi finanziaria che travolge mezzo mondo nulla può contro questa donna dalle mille risorse. Zia Mame cade, si rialza e intrepida ricomincia da capo, conservando sempre l'ingenuità, o forse l'orgoglio, di chi non oserebbe mai riversare sugli altri la colpa delle proprie miserie. Come possa aver fatto una donna tanto avventata, imprudente, generosa e folle, a tirar su un ragazzino di dieci anni è un mistero.

Un romanzo divertente, ricco di citazioni colte ma capace di coinvolgere anche il lettore occasionale, una sorprendente sferzata di buonumore assolutamente da non perdere"

Dennis P., Zia Mame, Adelphi 2009

venerdì 25 giugno 2010

Ultime della notte di Petros Markaris

Ecco un bel romanzo mediterraneo.
Ideale da leggere in spiaggia o cumunque in vacanza.
La Grecia qui si sente tutta; certamente non la Grecia Classica, turistica, ma quella vera, moderna e contraddittoria. Più balcanica che europea. Divisa e indecisa fra identità tradizionale e modernità.
Impossibile non tifare per il rude (e sfigato) commissario Karitos e sorridere delle sue frustrazioni (sul cibo, sulla figlia e la moglie) e delle sue curiose manie (proverbiale quella che lo vede come un assiduo lettore di... vocabolario!)

Dalla quarta di copertina: "Il commissario Kostas Karitos vive ad Atene, metropoli sospesa tra Oriente e Occidente, crocevia di immigrati clandestini, ex spie sovietiche e trafficanti d'organi. Karitos tenta comunque di ritagliarsi uno spazio di tranquillità personale, per dedicarsi anche ai propri problemi famigliari. Ma un efferato omicidio lo costringe a scendere in campo, scontrandosi con schegge impazzite di realtà"

Markaris P., Ultime della notte, Bompiani 2001

mercoledì 23 giugno 2010

Il piccolo principe di Antoine de Saint-Exupéry

Non mi è piaciuto.
Trovo la storia originale, con alcuni spunti molto delicati e raffinati (l'idea dei cicli più brevi e del tempo più breve, per la piccolezza del pianeta è geniale).
Però ha un retrogusto un po' buonista (ora capisco perchè Veltroni lo cita spesso...) e a tratti moralista. Frasi che ricorrono spesso e che rendono l'idea di questo retrogusto: "...gli adulti sono strani... non li capisco... sono complicati...". Insomma una mitizzazione dei bambini a prescindere.
Non mi sembra comunque un libro per bambini, che "spero" preferiscano storie più fantastiche con ritmi meno lenti e trame meno smielate.
Ne tantomeno per adulti, tranne per coloro che ricercano messaggi banali e scontati.
Va bene come manualetto degli aforismi...


Per la trama, vi riporto la quarta di copertina..."È la storia dell'incontro tra un aviatore, costretto da un guasto ad un atterraggio di fortuna nel deserto, e un ragazzino alquanto strano, che gli chiede di disegnargli una pecora. Il bambino viene dallo spazio e ha abbandonato il suo piccolo pianeta perchè si sentiva troppo solo lassù: unica sua compagna era una rosa. Un libro che si rivolge ai ragazzi e "a tutti i grandi che sono stati bambini ma non se lo ricordano più", come dice lo stesso autore nella dedica del suo libro. Età di lettura: da 8 anni."
de Saint-Exupéry A., Il piccolo principe, Bompiani 2000

giovedì 10 giugno 2010

Le consolazioni della Filosofia di Alain de Botton

Ottimo libro! Lo consiglio vivamente. Si lascia leggere molto bene, anche perchè l'autore utilizza molte immagini e foto in modo accurato, per la comunicazione (quasi un testo multimediale).

E' davvero una consolazione: fa riflettere molto sulla vita e sulla nostra esistenza ed essenza.
Per non sentirsi troppo soli (o originali) di fronte alle sfide secolari ed universali che animano molti di noi, prima o poi, nel proprio percorso esistenziale...


Dalla quarta di copertina... "La filosofia è inutile se non cura i turbamenti dell'anima così come la medicina che non cura i dolori del corpo. Guidato da questo principio di Epicuro, Alain de Botton ha compiuto un lungo itinerario attraverso la storia della cultura occidentale, fino a riconoscere in sei grandi pensatori della nostra tradizione i compagni di viaggio ideali nel percorso alquanto accidentato e travagliato della nostra esistenza. Socrate, Epicuro, Seneca, Montaigne, Schopenhauer e Nietzsche diventano così, nella lettura che ne viene qui data, personaggi cordiali e comunicativi, figure vive e partecipi della nostra quotidianità."


de Botton A., Le consolazioni della filosofia, Guanda 2004

Il G.G.G. di Roald Dahl

Francamente, l'unica cosa che non capisco riguardo Roald Dahl è perchè i suoi libri vengano classificati nella "letteratura per ragazzi".
Arguto, divertente, geniale nella costruzione delle trame narrative e nelle situazioni, questo autore è difficile da rinchiudere in una definizione stabile.
Se fosse possibile inventare una nuova definizione di genere, dovrebbe essere: "letteratura per ragazzi e ragazzi... cresciuti".
Una storia magica, delicatissima, commovente, che affronta la diversità in termini fiabeschi e metaforici e non disdegna di accettare il confronto conflittuale con la crudele emarginazione del diverso da parte della gente comune.

Per la trama riporto la quarta di copertina del libro: "Sofia non sta sognando quando vede oltre la finestra la sagoma di un gigante avvolto in un lungo mantello nero. È l'Ora delle Ombre e una mano enorme la strappa dal letto e la trasporta nel Paese dei Giganti. Come la mangeranno, cruda, bollita o fritta? Per fortuna il Grande Gigante Gentile, il GGG, è vegetariano e mangia solo cetrionzoli; non come i suoi terribili colleghi, l'Inghiotticicciaviva o il Ciuccia-budella, che ogni notte s'ingozzano di popolli, cioè di esseri umani. Per fermarli, Sofia e il GGG inventano un piano straordinario, in cui sarà coinvolta nientemeno che la Regina d'Inghilterra..."
Da leggere nella hall di un albergo di montagna, in pieno inverno con la neve! Non potete interrompere la lettura: va letto tutto d'un fiato.
Dahl R., Il GGG, Salani 1982

mercoledì 9 giugno 2010

Seta di Alessandro Baricco

E' la storia di un uomo di successo, che compie frequenti viaggi in Giappone per importare clandestinamente dei bachi da seta e produrre il prezioso tessuto in una piccola cittadina industriale della Francia dell'800.
La trama è interessante, anche se sempre un po' scontata in certi passaggi.

Questa la quarta di copertina: "La Francia, i viaggi per mare, il profumo dei gelsi a Lavilledieu, i treni a vapore, la voce di Hélène. Hervé Joncour continuò a raccontare la sua vita, come mai, nella sua vita, aveva fatto. "Questo non è un romanzo. E neppure un racconto. Questa è una storia. Inizia con un uomo che attraversa il mondo, e finisce con un lago che se ne sta lì, in una giornata di vento. L'uomo si chiama Hervé Joncour. Il lago non si sa."

Comunque Baricco è Baricco. Vi sono dei passaggi lirici molto suggestivi e ben dosati, che colpiscono per la loro liricità. Ed emozionano gli amanti della lingua scritta.

Uno per tutti: "... lui raccontava piano, guardando nell'aria cose che gli altri non vedevano..."

Baricco A., Seta, Feltrinelli 2008

martedì 8 giugno 2010

La cerimonia del massaggio di Alan Bennett

Altro piccolo racconto di Alan Bennett. Carino, ma non esilarante come il precedente "Nudi e crudi".
E' difficile esporre la trama al futuro lettore, perché l'autore la svela, come in un giallo, man mano che il racconto si svolge, giocando sull'allusione e sugli equivoci.
Una trama avvolta da una tipica nebbia londinese, che permette di svelare i contorni delle situazioni e dei personaggi, solo avvicinandosi ad essi, attraverso un sapiente dosaggio di indizi, disseminati lungo tutto il suo percorso.

Quindi, illustrarvi la trama, sarebbe un po' come svelarvi l'assassino di un giallo, prima che cominciaste a leggere il libro!

Dovrete accontentarvi della quarta di copertina del libro stesso:

"Si sa che non c'è nulla di più mondano quanto un buon funerale. E ancor più se si tratta di commemorare un estinto che, letteralmente, ha avuto per le mani la "crème de la crème", ambosessi, di Londra. E allora l'evento può diventare, oltreché mondano, atrocemente intimo. E rischiare da un momento all'altro di sgangherarsi, se il suo programma prevede un preoccupante assolo di sax. E se uno dei convenuti si alza in piedi per tessere un panegirico dell'anatomia del trapassato."

Il racconto è costruito come una sceneggiatura teatrale, poiché si svolge quasi unicamente in un unico ambiente e in un unico tempo: la cerimonia di commemorazione di un defunto illustre e... particolarmente "intimo" a molti!

Da leggere sicuramente, ma senza pretendere di ridere così tanto come in "Nudi e Crudi".

A. Bennet, La cerimonia del massaggio, Adelphi 2002

lunedì 7 giugno 2010

Lo strano caso del cane ucciso a mezzanotte di Mark Haddon

E' la storia di un ragazzo autistico.
Un ragazzo con una mente straordinariamente allenata alla matematica, ma assolutamente incapace di sostenere delle normali relazioni umane.
Si trova a voler risolvere un enigma: il cane della sua vicina di casa è stato ucciso trafitto da un forcone.
Scritto in prima persona, è un esercizio audace da parte dell'autore che tenta di entrare in un mondo difficile e complesso e sicuramente poco esplorato della mente.
E' un libro con alcuni particolari curiosi, uno dei quali è che i capitoli sono numerati con la sequenza dei numeri primi, proprio per sottolineare la predilezione del protagonista per la matematica e la logica.
Un romanzo interessante e avvincente, sia perchè mantiene una trama da romanzo giallo, sia perché si evidenzia fin da subito il vero "motore" narrativo e cioè che questo ragazzo è costretto ad uscire dal suo mondo per entrare in contatto con quello dei "normali".
Immancabile la rappresentazione velata (ma nemmeno troppo...) di un mondo imperfetto e banale, qual è quello dei "normali", tale da erigere il ragazzo ad unico vero "normale" in un mondo di folli, fino a relativizzare il concetto stesso di handicap, anche se questa rappresentazione appare spesso una forzatura un po' troppo romantica e stucchevole ed in fondo irreale (o meglio inverosimile).
Nel complesso, un libro piacevole, che si lascia leggere facilmente e che ci permette di avvicinarci ad un mondo "diverso" in modo originale e non "sociale" e che ci fa riflettere su una diversa concezione, quella che vive questo ragazzo, delle dimensioni spazio-temporali.
Una curiosità. All'interno del libro vengono riportati diversi quesiti e giochi matematici. Uno di questi è molto interessante, meglio noto come il "dilemma di Monty Hall"

M. Haddon, Lo strano caso del cane ucciso a mezzanotte, Einaudi 2005

venerdì 4 giugno 2010

Nudi e crudi di Alan Bennett

Un piccolo libro di Alan Bennett, autore inglese molto popolare, pubblicato in Italia nel 2001 da Adelphi.
Non sono certo di poter definire questo lavoro in modo univoco, ma credo che vada identificato (se mai ve ne fosse la necessità) come racconto, perché sostenuto da una sola idea forte centrale.
Risponde essenzialmente alla seguente domanda: "Che cosa succederebbe se, rientrando a casa una sera, la trovaste completamente svaligiata?"
E' la storia delle vicissitudini di una tipica coppia inglese (lui avvocato, lei casalinga), senza figli, piuttosto monotona ed abitudinaria.
Una sera, al rientro da uno spettacolo teatrale, i due trovano la propria casa completamente svaligiata dai ladri; tutto è stato rubato, dalla moquette ai lampadari, dal rotolo della carta igienica al forno e l'arrosto che attendeva lo scatto del timer.
La casa è stata riportata allo stato originario. E’ completamente nuda.
Questo evento straordinario e sconvolgente nella vita monotona dei due coniugi, provoca una rivoluzione inaspettata, con tratti positivi e dai risvolti piccanti e molto divertenti.
Per tutta la durata del racconto, il lettore ha la sensazione di scoppiare a ridere da un momento all'altro, sia per le situazioni paradossali e sia per le descrizioni molto argute, che l’autore è riuscito a concepire.
Ogni punto di svolta nel racconto è molto ben costruito, perché sembra essere una situazione "fantastica", mentre alla fine tutto si risolve con una spiegazione logica anche se piuttosto improbabile.
Una realtà... inverosimile!
Ed è proprio su questo ossimoro che il racconto si fa desiderare di essere letto e non abbandonato.

Da leggere in treno o in metropolitana.
I sorrisi e le risatine che a stento riuscirete a trattenere durante la lettura di questo racconto, incuriosirà i vostri compagni di viaggio più attenti ed osservatori, strappando anch'essi per un momento alla monotonia abitudinaria del pendolarismo quotidiano metropolitano!

Bennet A., Nudi e Crudi, Adelphi 2001