Questo piccolo e sobrio libro è molto interessante, anche per capire come un personaggio così controverso, abbia potuto affascinare generazioni di persone che sono entrate nella sfera "dannata" dell'estremismo violento degli anni '60 e '70. Il merito di questo saggio risiede principalmente nel fatto che viene visto con gli occhi critici di uno di destra, certamente non estremista, ma comunque più vicino di altri a quell'area di riferimento. Le sue critiche quindi sono scevre da qualsiasi semplificazione di parte. E che critiche! Piuttosto feroci e demolenti, non tanto dell'uomo Evola, quanto del "mito Evola".
L'introduzione poi è molto bella, perchè l'autore descrive parte della propria esperienza giovanile.
Si legge molto bene e lo consiglio vivamente.
Dalla quarta di copertina: "A più di trent'anni dalla morte, Julius Evola è ancora un punto di riferimento ideologico per il mondo della destra radicale. Resistono il suo mito di filosofo antimoderno e la leggenda di un suo razzismo innocuo perché "spirituale". Ma ha un senso distinguere il razzismo "spirituale" dal razzismo biologico? Fornire al razzismo/antisemitismo motivazioni "spirituali" modifica la sostanza del pregiudizio? Le teorie di Julius Evola sono realmente solo "spirituali" oppure sono soltanto un tentativo non riuscito di edulcorare la sostanza del razzismo/antisemitismo? Per Evola non si può parlare di una "parentesi" razzista, ma di un razzismo radicale e persistente che il pensatore tradizionalista mette al servizio della svolta mussoliniana, anche a costo di adattarne i contenuti alle esigenze politiche del fascismo, senza mai criticare le leggi razziali, se non perché applicate in modo troppo moderato a causa delle "discriminazioni". L'evoliana "razza dello spirito" non sfugge al determinismo biologico e anzi si risolve in un razzismo totalitario, più esigente, che differisce da quello del "Manifesto della razza" solo per la definizione di quella italiana come razza "ario-romana" piuttosto che "ario-nordica""
Dalla recensione de L'INDICE di Francesco Germinario: "A destra il libro è passato inosservato, ovvero ha avuto qualche recensione critica. Et pour cause… L'autore, un intellettuale organico della destra di An, propone di relegare in soffitta l'autore più celebrato dell'area. Nelle prime pagine, Rossi confessa di non avere subìto in gioventù – il riferimento è alla prima metà degli anni settanta – l'influenza del pensiero evoliano, essendo legato a una visione più pragmatica e meno ideologica della destra. In ogni caso, non si governa con Evola; così Rossi propone la sua Fiuggi culturale: "Il problema è quanto il suo catastrofismo apocalittico – quel suo torcicollo metastorico – sia compatibile con una destra moderna e modernizzatrice, politicamente riformista e non reazionaria, pragmatica e non ideologica". Ben detto. C'è un secondo motivo che rende il saggio interessante. Per decretare l'abbandono di Evola, Rossi affonda il coltello nella parte più delicata – non per la storiografia, ma per gli evolomani – del corpus teorico-politico evoliano, il suo razzismo, che a destra hanno reso sempre periferico. Insomma, sembra suggerire Rossi alla destra, Evola non è presentabile perché razzista. Del resto, Rossi considera appunto una "leggenda", come recita il sottotitolo, il razzismo dello spirito. Questo mira non al superameto dell'impostazione biologica, bensi alla sua "integrazione". Il che significa che non era un razzismo esattamente contrario a quello nazista, come hanno sempre preteso i suoi estimatori, ma "più raffinato ed efficace, nel quale sono malcelate – dietro fumogeni lessicali – le suggestioni della concezione della razza in voga all'epoca del romanticismo e del darwinismo sociale". Anche qui ben detto. Abbiamo citato dal sottotitolo; ma forse migliore è il titolo: quello di Evola – proprio per le sue pretese spiritualiste – fu un razzismo totalitario; come, è il caso di aggiungere, qualsiasi posizione antisemita"
Scipione Rossi G., Il razzista totalitario. Evola e la leggenda dell'antisemitismo spirituale, Rubbettino 2008
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