giovedì 25 agosto 2011

Il mestiere di scrivere di Raymond Carver

Un classico. Denso di spunti.
Una descrizione accurata di come un grande autore inventa le proprie trame, veste i personaggi e traduce le proprie visioni in racconti.
Si intravede la sua ambizione, quasi la sua ossessione, che è quella di far partecipare gli altri, i lettori, ai propri sogni, traducendoli in storie.
Colpisce la disciplina e la precisione nell'uso del vocabolario, il dosaggio delle parole e la loro combinazione.
Colpisce la mitezza e l'umiltà di questo gigante della letteratura americana.
Denso di descrizioni e anche di due testimonianze proprio su Carver, questo libro non è un manuale per scrittori, nel senso classico del termine, piuttosto va gustato come una biografia della professione di un grande scrittore e un incoraggiamento a essere scriventi, a scrivere cioè, non necessariamente per pubblicare, ma anche solo per tradurre le proprie esperienze e illusioni in parole per fissare quelle emozioni destinate a svanire nell'oblio del tempo.

Sinossi: "Esercizi di scrittura creativa, lezioni, istruzioni per la composizione di una short-story, note sull'arte della concisione. L'insegnamento della scrittura creativa è stato per Raymond Carver qualcosa di piú che un modo per guadagnarsi da vivere: cominciò negli anni '70 a tenere le sue memorabili lezioni di Creative Writing - in un periodo segnato dalla devastazione dell'alcolismo - e quelle lezioni oltre a dare origine a una vera e propria tendenza letteraria furono per Carver un modo per riflettere sul senso del narrare e per confrontarsi con i grandi scrittori suoi maestri - da Checov a Hemingway -, in particolare sulla forma della short-story"

venerdì 19 agosto 2011

Specchiarsi in una vecchia finestra...

Quest’estate, come faccio ormai da diversi anni, sono stato in vacanza con le mie figlie e mia moglie in una piccola isola del Dodecaneso, in Grecia, nella casa della famiglia di mia moglie.
Una casa antica, costruita, come ricorda una targa in ferro battuto sul balcone, nel 1882.
Una casa che in quasi 130 anni di vita non è mai stata venduta e tranne le confische degli anni della guerra, è sempre rimasta patrimonio della stessa famiglia, tramandata di generazione in generazione. Fatto insolito di questi tempi, direi quasi anacronistico.
Una casa che affascina, ma che richiede anche molto lavoro, ma soprattutto rispetto. Il giusto rispetto che si deve a chi ha accolto e protetto fra le sue mura diverse generazioni.


Oggi Despina, mia suocera, custodisce con cura e rispetto sia la casa, sia le memorie in essa contenute e che ricordano i sacrifici e le privazioni che le generazioni precedenti hanno affrontato negli anni, per permettere ad altre generazioni di godere di questo rifugio, luogo di incontro e di ritrovo.

Io conosco solo parzialmente alcune di queste storie come, ad esempio, il sacrificio di chi ha costruito la casa, per darla ad una delle proprie figlie; la tenacia e la determinazione di due vecchie zie, che da Alessandria d’Egitto sono tornate sull’isola (con al seguito tutto il mobilio), dopo la seconda guerra mondiale, per non lasciare in abbandono la vecchia casa della famiglia; la successiva determinazione di uno zio nel raccogliere i documenti necessari ad attestarne la legittima proprietà…

Quest’anno la casa è stata ristrutturata, col contributo e l’impegno, se non il sacrificio, delle nuove generazioni perché, come ama ricordare mio cognato Giancarlo: “La casa di Leros ha dato tanto a tutti, per tanti anni ed ora è lei ad aver bisogno di ricevere da tutti noi”.
Questa vecchia casa è stato un punto di ritrovo, convivenza e condivisione, anche se per poche settimane all’anno, tra famiglie che vivono la propria vita quotidiana fra l’Italia ed il Brasile.


Questa vecchia casa, insegna molto, a tutti e lo fa con discrezione. Insegna, prima di tutto, ad aver cura delle cose antiche e a rifiutare la logica del consumismo moderno, che impone di buttare via le cose, ad intervalli di tempo che si riducono fatalmente sempre di più.


Ma soprattutto insegna il fare. Il fare pratico, diretto, attraverso l’uso, un po’ perduto ormai, delle mani e della manualità.
Quell’uso delle mani che sviluppa e stimola la creatività dell’uomo, repressa e mortificata in quest’epoca di omologazione globalizzata, che non ci permette di creare più nulla, ma al massimo di assemblare cose già fatte, come si fa con un mobile di IKEA, lasciandoci la falsa illusione di aver creato noi qualcosa.


 

L’omologazione non ha ucciso solo la creatività, ha soprattutto ucciso il gusto. Il concetto stesso di gusto, perché non esiste più un discrimine arbitrario per giudicare le cose, come bello, brutto, perfetto, discreto, migliorabile, difettoso, venuto male, ingegnoso…
Non c’è spazio nell’omologazione per una simile variabilità e imperfezione, perché non hanno spazio le tonalità del grigio, ma solo l’arida dicotomia fra bianco e nero.


Senza imperfezione, discrezionalità, asimmetricità, non si migliora mai, non si riesce mai a raggiungere la bellezza come espressione dell’armonia.




L’uomo, lo sappiamo, impara solo attraverso l’esperienza dell’errore, migliorando per tentativi progressivi.
Questa vecchia casa, ci ha insegnato a far rivivere vecchi oggetti, assegnando loro funzioni diverse da quelle originarie, come in un samsara. Ci ha ispirato a trasformare delle vecchie finestre in specchiere, separè o tolette per signora; ad adibire vecchi ripiani di legno ad attaccapanni; a costruire un tavolinetto utilizzando manici di scopa; a riutilizzare vecchi lampadari come lumi da parete o abat-jour…
Giudicate voi stessi. Non saranno oggetti perfetti, geniali, originali e di sicuro non sono sicuramente degli oggetti di alto design.



   

Sono, restano e rivivono come le cose antiche della casa che augurano Kαλώς ήλθατε!, Benvenuti!, alle nuove generazioni di questa bella famiglia.
!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!



mercoledì 17 agosto 2011

Il ritorno del re. Il Signore degli anelli 3 di John Ronald Reuel Tolkien


La fine della trilogia dell'anello.
Un finale positivo ma dai risvolti drammatici; dai cambiamenti epocali e definitivi.
L'eroe positivo, Frodo, il portatore dell'anello, non sarà mai più lo stesso.
La fine dell'anello non coincide con la fine della trilogia. La distruzione dell'anello segna l'inizio di una nuova era; di un periodo travagliato ma necessario a tagliare i ponti col passato. E' la storia, tutta particolare e densa di significati del RITORNO A CASA; per nulla semplice, per nulla scontato, forse fra tutti il periodo più ignoto e inaspettato.
In questo forse, Tolkien esprime la sua visione più realistica, meno fantastica di tutta la sua opera: i cambiamenti impongono rinunce e la fine anche di epoche auree. La lotta col male, anche se vittoriosa, lascia sempre segni indelebili, anche sui più virtuosi. Il ritorno è denso di paure, di cose che non ci sono più, di vita non vissuta e di sentirsi straniero nella propria terra, di non venire più riconosciuti dalla propria gente o di essere stati sopraffatti da usurpatori.
E' il dramma di Odisseo che torna nella sua Itaca, infestata dai Proci; il dramma dei tanti soldati che tornano in patria dopo lunghe guerre, dei reduci del Vietnam che tornano negli USA o degli ebrei sopravvissuti ai lager nazisti, che ritornano in patria e trovano case, terre e beni requisiti e dispersi.
Ma nella partenza finale di Frodo, che lascia la Contea, c'è qualcosa di alto, che richiama alla mente l'espiazione di Mosè a cui il Signore concede solo di vedere la Terra Promessa, senza permettergli di attraversarla. Una fine, non una punizione. La fine di un'era, la necessità di affidare ad altri la responsabilità di continuare a scrivere la storia.
E' la storia delle tradizioni degli uomini, così care a Tolkien, che per tramandarsi e non esaurirsi, logorarsi o svilirsi, impongono agli eroi di non essere protagonisti per tutte le stagioni, ma di ritirarsi anzitempo.

Da non perdere!

Sinossi: "Nel terzo romanzo della trilogia di Tolkien, Aragorn e i suoi amici giungono a Gondor, relitto dell'antico Regno degli Uomini: è il mondo del Bene, in piena decadenza. Mentre Frodo e Sam riprendono il difficile cammino verso Monte Fato, nelle pianure presso la capitale di Gondor si scontrano le forze del Bene e del Male. Quando il Male sembra avere il sopravvento, Frodo riesce a far cadere l'Anello nel cratere di Monte Fato. In quel momento l'Occhio malefico, che ha continuato a fissare il mondo, si chiude e una gran pace scende sulle cose. La Compagnia dell'Anello si riunisce e gli Hobbit ritornano a casa, incontrando ancora qualche traccia del Male... "