mercoledì 28 settembre 2011

Le fiabe dei fratelli Grimm

Un solo pensiero... che bei ricordi!
Una sola considerazione... cosa c'è di più attuale oggi e non solo oggi?
Un solo commento... le fiabe moderne per eccellenza.

Ma tantissime emozioni.

Buona ri-ri-ri-ri-lettura...

Ricetta di lettura. Nessuna: non si mangia a letto...

sabato 24 settembre 2011

Esercizi di stile di Raymond Queneau

Questo libro è come un film di Totò: non ci si stanca mai di vederlo.
Il solo gioco letterario è di per se divertentissimo, porta a sorridere, se non addirittura a ridere.
Basta riflettere un solo attimo sul perchè e ci si accorge che a suscitare divertimento è la la genialità di Queneau.
Arduo far ridere gli altri con fatti divertenti o surreali. Ma addirittura miracoloso farlo raccontando in un certo modo un fatto banale!

Non perdetelo. Compratelo, conservatelo e rileggetelo a caso, quando siete un po' giù di morale. Terapeutico.

Ricetta di lettura: Da leggere come aperitivo, prima di andare a cena, sgranocchiando pistacchi, noccioline e bruscolini, con un buon bicchiere di vino rosso, preferibilmente un Barbera. Ma fate attenzione a consumare un solo pistacchio, una sola nocciolina ed un paio di bruscolini, con un piccolo sorso di vino per ogni "esercizio". Rischiereste un'indigestione!


Sinossi: "Esercizi di stile" è un esilarante testo di retorica applicata, un'architettura combinatoria, un avvincente gioco enigmistico. Tutto vero, però è anche un manifesto letterario (antisurrealista), è un tracciato di frammenti autobiografici, è la trascrizione di una serie di sogni realmente effettuati da Queneau. E perfino un testo politico, nonché un'autoparodia. Questo è quanto emerge dalle riflessioni che Stefano Bartezzaghi ha dedicato a questo libro-capolavoro. E la sua postfazione al volume diventa complementare alla classica introduzione di Umberto Eco, del quale si conserva anche la traduzione. In appendice, presentati per la prima volta in italiano, alcuni esercizi lasciati cadere nell'edizione definitiva, un indice preparatorio e l'introduzione, anch'essa inedita in Italia, scritta da Queneau per un'edizione del 1963."

lunedì 19 settembre 2011

Contagio della manualità

Beatrice, un'amica di Despina, mi ha mandato alcune bellissime fotografie della vecchia casa sull'isola del Dodecaneso (vedi il precedente post sull'argomento "Specchiarsi in una vecchia finestra").
Ne pubblico alcune, quelle che ritengo essere le più significative.
Siamo appena giunti alla fine di settembre, ma la casa continua a cambiare, ad evolvere.
Viene migliorata, raffinata, particolareggiata; in una parola coccolata dai suoi avventori.
Chi viene accolto dalla casa, scopre (o riscopre) improvvisamente la voglia di fare, di un fare concreto, con l'uso delle mani, in quello che può essere definito il contagio della manualità.
Una manualità creativa, esplorativa, che ci permette di imparare sempre, senza limiti di età e di proiettare la nostra intelligenza la dove "mente e mano funzionano rinforzandosi, l'una insegna all'altra e viceversa" (vedi il post su "l'uomo artigiano di R. Sennet").

Ma Lei, questa vecchia casa, ci offre anche qualcosa di più e come una bella e affascinante Signora d'altri tempi, ci proietta laddove l'uomo è in grado di scoprire il suo potenziale creativo oltre la categoria del nuovo, del moderno, fino a giungere alla dimensione, spesso inedita, dell'uomo che crea conservando.
Ossimoro scandaloso per la moderna società dei consumi e per la contemporanea ideologia del progresso fine a se stesso.

"Sembra quasi - mi ha scritto Beatrice - che [quelle mura] sappiano suggerire a ciascuno il da farsi, evocando l'homo faber secondo le proprie specifiche competenze e capacità: e ciascuno se ne assume ben volentieri l'onere. E l'onore [...] di avervi comunque lasciato un'impronta di sè..."

Questa vecchia casa non nega mai la sua ricompensa. Poichè conserva e conserverà sempre fra le sue mura, la memoria duratura e indelebile dell'opera delle mani di tanti, segno inequivocabile della specificità e della cultura creativa di ognuno.
 



domenica 11 settembre 2011

Storia delle mie storie di Bianca Pitzorno

E' difficile definire questo libro della Pitzorno come un saggio.
Quando una scrittrice si dedica alle storie per ragazzi, l'imprinting rimane.
Diventa labile il confine fra l'espressione di un concetto, in modo razionale o quantomeno esplicito e consapevole e il racconto di una storia, seppur spesso metaforico o evocativo.

Un libro piacevole, a volte un po' didascalico, altre volte un po' nostalgico di un generico e rimpianto passato d'oro (o presunto tale).
Insomma, la Pitzorno resta indimenticabile non già per la "Storia delle sue storie", ma per le Storie stesse.
Sublimi storie di bambini per bambini e anche per adulti che rievocano e fanno emergere in loro quella componente infantile e spensierata.

Ricetta di lettura: Leggere tassativamente di sera, dopo aver saltato la cena come scelta consapevole e gesto rivoluzionario, con un tocco quadrato di cioccolato fondente duro da erodere con gli incisivi superiori


Sinossi: "Che cos'è la letteratura per l'infanzia? In che cosa si differenzia da quella per gli adulti? Quali sono le sue origini, quali gli argomenti, lo stile, il linguaggio più adatti a un pubblico di giovanissimi? Come si pone lo scrittore adulto nei confronti dei lettori bambini? A questi interrogativi Bianca Pitzorno risponde attingendo alla propria esperienza trentennale di narratrice e alla propria lontana ma vivissima memoria di bambina lettrice; ricordando che ci sono libri, dall'"Isola del tesoro" al "Piccolo principe", da "Alice nel paese delle meraviglie" a "Pinocchio", che conquistano da ragazzi, che imprimono un suggello sui propri gusti, inclinazioni, sistemi di valori come nessuna lettura in età adulta farà più. Quanto agli ingredienti indispensabili per il suo lavoro, sono i più semplici del mondo: ascoltare, osservare, leggere e pensare senza farsi sopraffare dai ritmi narrativi della televisione. Nella parte conclusiva la riflessione della scrittrice considera anche i recenti cambiamenti nel catalogo sempre più vasto dei libri per l'infanzia, dando la sua interpretazione al successo clamoroso di libri come "Harry Potter".

mercoledì 7 settembre 2011

Io e te di Niccolò Ammaniti

Uno stile narrativo piacevole, una trama curiosa e una definizione dei personaggi chiaramente delineata.
Insomma, i presupposti c'erano tutti per una bella storia.
Però, man mano che si svelava il "problema" di uno dei protagonisti, ho sperato non fosse proprio il più scontato fra i temi giovanili. Speravo... speravo... e invece no: era proprio il più scontato: la droga. Così ho perso interesse a leggerlo, anche se poi l'ho finito velocemente.
Ma forse è giusto così, l'argomento della droga è sempre molto attuale e drammaticamente presente fra le giovani generazioni e quindi sono io, probabilmente, ad essere "inadeguato" a questa storia e non il contrario.

Ricetta di lettura: Leggere durante le sere autunnali, preferibilmente in un luogo aperto, con un buon bicchiere di vino rosso novello e tre cantuccini alle mandorle da intingere.

Sinossi: Barricato in cantina per trascorrere di nascosto da tutti la sua settimana bianca, Lorenzo, un quattordicenne introverso e un po' nevrotico, si prepara a vivere il suo sogno solipsistico di felicità: niente conflitti, niente fastidiosi compagni di scuola, niente commedie e finzioni. Il mondo con le sue regole incomprensibili fuori della porta e lui stravaccato su un divano, circondato di Coca-Cola, scatolette di tonno e romanzi horror. Sarà Olivia, che piomba all'improvviso nel bunker con la sua ruvida e cagionevole vitalità, a far varcare a Lorenzo la linea d'ombra, a fargli gettare la maschera di adolescente difficile e accettare il gioco caotico della vita là fuori. Con questo racconto di formazione Ammaniti aggiunge un nuovo, lancinante scorcio a quel paesaggio dell'adolescenza di cui è impareggiabile ritrattista. E ci dà con Olivia una figura femminile di fugace e struggente bellezza.

martedì 6 settembre 2011

Lo spazio e la memoria

Lo scorso fine settimana, io e mia moglie, abbiamo deciso di mettere in ordine il soppalco di casa.
Per chi ha una casa piccola, il soppalco rappresenta la soffitta delle vecchie case (o la cantina, dipende dai casi).
Un posto dove si accumulano tante cose e dove si nascondono o si dimenticano, più o meno consapevolmente, i ricordi e le emozioni legate a tanti oggetti.
Riordinare un soppalco, una soffitta, una cantina, è un'operazione delicata, che richiede un certo tempo. Un tempo difficile da pianificare, perchè lo scorrere fra le mani di vecchie foto, album, quaderni, telefoni, tazzine, tele, colori, stampe, quadri, penne stilografiche, cornici, cartoline, appunti, lettere o bollette telefoniche, ci costringe a fermarci, per ripercorrere mentalmente i ricordi e rispolverare la nostra memoria. Un'operazione che per ogni oggetto ci pone di fronte ad una scelta, a volte un dilemma. Disfarci del nostro passato o recuperare la memoria dell'esperienza? Liberarci di lacci e laccioli, che per troppo tempo ci hanno avvinghiato a schemi abitudinari, oppure riappropriarci di legami e vecchie passioni, troppo presto abbandonate, sopraffatte dalla quotidianità o dalla pigrizia creativa? Liberare spazio fisico o preservare uno spazio mentale?
Insomma, riordinare un soppalco è un'operazione che assomiglia più ad una metafora, che ad una attività vera e propria.

Tale dilemma per me, è diventato cruciale quando, ad esempio, mi sono imbattuto in alcuni vecchi cartelloni che realizzai sette anni or sono, nel 2004, per organizzare la festa di compleanno delle mie due figlie, oggi adolescenti.
Niente di particolarmente elaborato anzi... una caccia la tesoro... un cruciverba... alcuni giochi enigmistici a tema.
Inoltre, per l'occasione, scrissi quattro racconti che avevano come protagoniste le mie stesse figlie e realizzai dei cartelloni a supporto del "cantastorie" (la mia amica Giuliana), che recitò magistralmente le diverse storie, attorniata da decine di bambini, in mezzo ad un bel prato verde.
"Allora? - ho chiesto a mia moglie, alle mie figlie e a me stesso - Li butto o li conservo questi cartelloni?"
Momenti di panico e titubanze strazianti!
Alla fine ho preso una decisione; di compromesso, ovviamente e inevitabilmente.
I cartelloni sui racconti li ho conservati, mentre tutti gli altri li ho buttati via.
Che criterio ho usato? Non lo so: mi sono affidato alle mie emozioni.
Ma per tutti ho fatto delle foto e ho deciso di affidarli alla memoria di questo blog.

E voi... che ne pensate?






giovedì 1 settembre 2011

Il seno di Philip Roth

Mah....! Un racconto che incuriosisce molto, ma...
Lo stile narrativo è impeccabile, perchè Roth è un grande narratore.
Ma questo racconto, forse proprio perchè remake de "La metamorfosi" di Kafka, non convince e far venir voglia di rileggere l'incubo kafkiano.
Insomma, alla fine non mi ha appassionato...
Sinossi: Per ragioni incomprensibili, il professore David Alan Kepesh si ritrova trasformato in un enorme seno. Cieco ma provvisto di udito e soprattutto di sensibilità cutanea, riceve le visite del padre, che gli racconta le vicende del suo piccolo mondo ebraico, dell'affettuosa e banalissima fidanzata, del rettore, che fugge travolto da un riso incontenibile, e del suo psicanalista. Ma soprattutto viene lavato da miss Clark, l'infermiera che gli procura un piacere immenso. Da una situazione surreale, simile a un incubo kafkiano o a un quadro di Dalì, Philip Roth fa scaturire situazioni comiche (e oscene). Prima edizione Bompiani, 1973.