mercoledì 27 aprile 2011

L'etica protestante e lo spirito del capitalismo di Max Weber


Tra pochi giorni, assisteremo ad un grande evento: la beatificazione di Giovanni Paolo II. Un evento straordinario, comunque e per chiunque; credenti e non credenti, laici e cattolici, cristiani e credenti di altre religioni.
Si sostiene, ormai abbastanza unanimamente, che questo grande e importante Papa (figura carismatica del mondo contemporaneo e di un tempo avaro e bisognoso di santità  contemporanee), ha cambiato il corso della storia, contribuendo in modo determinante alla caduta del comunismo (o per taluni solo accelerando un processo inevitabile).
Ricordo bene, ancora oggi, come il Papa stesso, nei suoi primi interventi immediatamente successivi alla caduta del muro di Berlino del 1989, mettesse in guardia dal pericolo che il sistema di valori del comunismo, potesse essere sostituito da una degenerazione selvaggia, altrettanto grave, dell'ideologia consumistica del capitalismo; il vuoto lasciato dalla scomparsa di un'ideologia sociale, potesse venir occupato da un deismo individualista. Lo spazio occupato da un Potere Coercitivo, potesse essere soppiantato dalla forza di un Potere Persuasivo (Dominio VS. Egemonia).

Una preoccupazione rivolta sia alla società che ai singoli individui. Una profezia, rileggendola oggi...

Mi è rivenuta in mente quest'opera di Max Weber, perchè questo saggio classico del pensiero sociologico moderno, è in parte in grado di spiegare come soltanto un papa cattolico, profondamente cattolico, poteva combattere il comunismo, prendendo contemporaneamente le distanze dall'ideologia capitalistica.

In questo saggio, contrariamente a quanto potrebbe sembrare ad una prima lettura, Weber non intende sostenere che un fenomeno economico possa essere causato direttamente da un fenomeno religioso; esclude un nesso diretto di causa ed effetto. Egli mette più che altro in relazione i due fenomeni: quello della mentalità religiosa protestante (in particolare calvinista) e quello della mentalità capitalista, affermando che entrambi siano stati, in tempi diversi, influenzati da una mentalità insita comunque nella popolazione europea, soggiacente fin dall'epoca carolingia.
Una mentalità, per altro, ereditata da una tradizione tardo giudaica, secondo la quale la ricchezza è il segno visibile della grazia divina.
Ma mentre nel cattolicesimo, questa mentalità è stata mediata e in parte contrastata, per reazione allo scisma protestante, la chiesa riformata e in particolare quella calvinista, ha dogmatizzato questa mentalità: colui che genera ricchezza è il predestinato da Dio alla salvezza eterna e, di conseguenza, il povero è colui che è fuori dalla grazia di Dio e la sua povertà è il segno della punizione per aver commesso altre colpe insondabili all'uomo.
Successivamente poi, lo spirito del capitalismo, nato e sviluppatosi proprio nelle nazioni protestanti, "dogmatizza" il profitto elevandolo a dovere sociale, oltre che a semplice diritto o vantaggio al benessere.

Riporto di seguito, la premessa di Weber al suo saggio: I problemi della storia universale si presenteranno, inevitabilmente, al figlio della moderna civiltà europea sotto il seguente punto di vista, del resto giustificabile: «Per quale concatenamento di circostanze è avvenuto che proprio sul suolo occidentale, e qui soltanto, la civiltà si è espressa con manifestazioni, le quali - almeno secondo quanto noi amiamo immaginarci - si sono inserite in uno svolgimento, che ha valore e significato universale?». Solo in Occidente vi è una «scienza» con quello sviluppo che noi oggi riconosciamo «valido». Conoscenze empiriche, riflessioni su problemi del cosmo e della vita, sapienza filosofica e teologica profondissime - di cui si trovano accenni nell'Islam e in alcune sette indiane, sebbene il perfetto svolgimento di una teologia sistematica sia particolare del Cristianesimo influenzato dall'Ellenismo - scienza ed osservazione di straordinaria finezza, ce ne furono anche altrove; soprattutto in India, in Cina, in Babilonia e in Egitto. Ma all'astronomia babilonese e ad ogni altra astronomia antica manca il fondamento matematico, che le dettero per primi gli Elleni e la cui assenza rende ancor più stupefacente lo sviluppo del1a scienza degli astri presso i Babilonesi. A1la geometria indiana mancò un altro prodotto dello spirito ellenico, la «dimostrazione», cioè, razionale, la quale ha creato per prima la meccanica e la fisica. Alle scienze naturali indiane, straordinariamente progredite nel senso dell'osservazione, mancò l'esperimento razionale, che è, essenzialmente, un prodotto del Rinascimento dietro i tentativi dell'antichità dassica, e mancò quindi il laboratorio moderno; la medicina, che proprio in India raggiunse un alto sviluppo empirico-tecnico, non ebbe fondamento biologico e, specialmente, biochimico. La chimica è ignota a tutte le civiltà tranne che all'occidentale. La storiografia cinese, altamente progredita, non conobbe il pragma tucididèo. Machiavelli ha precursori in India. Ma tutta la scienza politica dell'Asia è priva di uno schema simile a quello aristotelico e soprattutto è priva dei concetti razionali. Per una dottrina razionale del diritto mancano altrove, nonostante tutti i tentativi indiani (scuola di Mimamsa), nonostante le ampie codificazioni, in particolare dell'Asia Minore, e nonostante tutti i libri giuridici dell'India e di altri paesi, i severi schemi giuridici e la forma mentale rigorosamente giuridica del diritto romano e del diritto occidentale che ne deriva. Solo l'Occidente conosce una creazione come quella del diritto canonico. (Max Weber, L'etica protestante e lo spirito del capitalismo, Osservazione preliminare)

Sinossi: Un'opera fondamentale per comprendere la società moderna, le sue radici culturali, il suo destino. Oggetto di continue contestazioni ma puntualmente riproposto, criticato decine di volte "in modo definitivo" ma sempre risorto dalle sue ceneri, questo libro ha cambiato radicalmente il corso delle scienze umane nel Novecento. All'inizio del testo Weber pone una domanda, che inevitabilmente "il rampollo della civiltà europea moderna" dovrà farsi: quali circostanze hanno fatto sì che proprio sul terreno dell'Occidente, e soltanto lì, comparissero fenomeni di civiltà che, almeno secondo l'opinione tra noi diffusa, avevano validità universale? Questa grande intuizione weberiana segnò l'inizio di un nuovo modo di guardare al rapporto tra economia e cultura, e di conseguenza di un diverso modo di guardare ai sistemi di potere, non più fondati sul dominio ma sull'egemonia.

mercoledì 20 aprile 2011

Avanti tutta di Simone Perotti

Si legge in un giorno, tutto d'un fiato. Si legge come un racconto. Una storia di vita. Una storia interessante e curiosa; la storia di chi ha avuto il coraggio di tirarsi fuori, di non accettare rassegnatamente convinzioni bloccanti, credenze paralizzanti.
Perotti è uno simpatico, sicuramente una persona che si pone molte domande ed anche se va per mare, abituato a scivolare col vento sulla superficie dell'acqua, esistenzialmente tende ad approfondire, uno che va in profondità...
Alcune delle sue convinzioni, sono un po' delle forzature, forse semplicemente delle affermazioni utili ad automotivarsi, dei rafforzamenti. Comunque, sostanzialmente, questa è proprio una bella storia e lui se la merita tutta la felicità che si è conquistata con forza.
Non capisco francamente quelli che lo criticano astiosamente. Ma forse è solo frutto di invidia disfattista; se lui lo fa, lo ha fatto ed è contento e, soprattutto, non tornerebbe indietro per nulla al mondo, tanto di cappello!
Una cosa poi è fortemente condivisibile di questo testo e cioè che le rivoluzioni nascono sempre da una preparazione individuale; come dire che non si può fare la lotta contro il fumo se non si smette di fumare. La sobrietà sulle cose materiali e l'alienazione dal possesso, come valore, ci libera dalla schiavitù delle cose stesse, quindi dal denaro e dalla paura della sua scarsezza.

Insomma, dopo aver letto il suo precedente libro, "Adesso basta", ero curioso di sapere com'era andata a finire!

Non leggetelo in vacanza... rischiereste di non rientrare più... al lavoro! ;-)
Sinossi:
"Dunque si può fare. La scelta del downshifting raccontata in "Adesso basta" si è rivelata percorribile. "Ho tempo per cucinare, per studiare, per scrivere, navigare, perdere tempo..." scrive Simone Perotti in questo nuovo libro, che è un pamphlet sul cambiamento alle porte, su un nuovo ordine esistenziale e sociale. Contro la paura. Scoprire che si può vivere con poco, fuori dallo schema "lavoro guadagno spendo", in un momento di grave crisi economica, può essere un sollievo personale, ma anche un progetto "politico", da condividere. Suffragato dall'esperienza in azienda e dagli anni trascorsi nella libertà, Simone Perotti racconta "come si vive fuori", le sue scoperte (buone e cattive), e sfata gli stereotipi placando l'animo dei tifosi e contrastando una a una le obiezioni dei più critici. Dall'analisi degli 80.000 messaggi ricevuti, l'autore ricava la prima classificazione dei downshifter italiani (i Convinti, gli Arrabbiati, gli Impegnati, gli Antitaliani, gli Accoppiati, i Sorpresi...) e una mappa generazionale delle loro paure: l'identikit dell'uomo contemporaneo in rivolta. La lotta di classe sembra finita. Forse è incominciata la lotta per la vera liberazione.

lunedì 18 aprile 2011

Lettere Luterane di Pier Paolo Pasolini

Mentre leggevo il saggio della Mastrocola sulla scuola, del quale mi sono occupato nel precedente post, mi è rivenuta in mente questa raccolta di interventi di Pasolini degli anni '70. Ricordavo in particolare l'atteggiamento intellettuale dell'autore, di tendere a guardare oltre quello che egli stesso definiva come terribile ansia di conformismo.
Rileggendolo oggi, alcuni aspetti della nostra società, dopo quasi quarant'anni, sono drammaticamente attuali. E forse è anche giusto che sia così. Perchè alcuni di questi aspetti e atteggiamenti sociali, si logorano lentamente nel tempo, siano essi vizi o virtù.
Sarebbe molto facile oggi, affermare un nostalgismo di maniera; affermare che i vizi sono peggiorati, mentre le virtù sono state decimate e il decadimento morale in atto oggi è un processo inarrestabile.
Ma forse, anche questo atteggiamento fa parte di un conformismo del nostro tempo e quindi val la pena raccogliere la sfida di Pasolini a non lasciarsi riscaldare dalla coperta protettiva dell'omologazione.

Sinossi
Nell'ultimo anno della sua vita Pasolini condusse, dalle colonne del "Corriere della Sera" e del "Mondo", una rovente requisitoria contro l'Italia che vedeva intorno, "distrutta esattamente come l'Italia del 1945". Partendo dall'analisi delle mutazioni culturali, Pasolini rintracciava i segni di un inarrestabile degrado: la crisi dei valori umanistici e popolari; le lusinghe del consumismo, più forte e corruttore di qualsiasi altro potere; le distruzioni operate dalla classe politica; una invincibile e generalizzata "ansia di conformismo"; le mistificazioni di certi intellettuali autoproclamatisi progressisti. Non è vero che la Storia va sempre avanti: l'individuo e la società possono regredire.

giovedì 14 aprile 2011

Togliamo il disturbo di Paola Mastrocola

Questo è un libro che fa "incazzare".
E questo termine, anche se volgare, è forse il più appropriato perchè rende più di qualsiasi altro possibile sinonimo, contenendo in sé il tormento dell'emozione; quello forte e profondo: il tormento "di pancia".
Questo libro suscita sentimenti contrastanti, nel tempo e nello spazio; evoca riferimenti contrastanti; analogie grigie e dicotomie artificiose.
Questa professoressa è letteralmente anti-patica; quindi molto preziosa. Ottima insegnante di lettere: magari averla avuta come docente al liceo (un po' meno come maestra alle elementari...).
Molte cose che afferma sono, e non potrebbe essere altrimenti, fortemente condivisibili, come l'invadenza della tecnologia, lo strapotere mediatico della TV, il forte rumore dei blog, sms, ipod, l'apparire più dell'essere, l'avere più del sapere...
Ma l'impressione oggi è che questo fastidio alle nuove tecnologie e alle nuove tendenze, sta per essere codificato definitivamente in un nuovo conformismo sociale. E il conformismo, la tendenza al conformismo, è molto potente; una "terribile, invincibile ansia di conformismo", come la definiva Pasolini nelle prime pagine delle sue Lettere Luterane, tanto da trasformare "... un uomo borghese [...] tendenzialmente fascista [in] un progressista, un rivoluzionario, un comunista [...] Allo scopo di poter finalmente [più o meno inconsapevolmente] vivere in pace con la sua ansia di conformismo...".
Comunque, questo "recupero" dell'importanza del lavoro manuale e pratico, che l'autrice afferma con entusiasmo, come un valore e con una propria dignità e non già come un mondo di ripiego e di riserva, è fondamentale. Una delle tesi più convincenti di questo saggio.
E proprio per questo, non si capisce l'accento che la professoressa Mastrocola pone immediatamente dopo, formulando la sua visione di scuola, sulla presupposta e artificiosa separazione fra sapere e saper fare, fra lavoro manuale e lavoro intellettuale. Chi studia e ama studiare, perchè incline a studiare, perchè non dovrebbe avere parimenti amore anche per la manualità, per la praticità? Quale meccanismo mutuamente esclusivo è mai questo? E le due figure retoriche che ella utilizza per esemplificare, il discobolo (uomo attivo, fattivo) e il pensatore (uomo studioso, riflessivo), non dovrebbero forse rappresentare l'uomo, lo stesso uomo, in due diverse sequenze della sua vita o della sua giornata; l'uomo nella sua interezza indissolubile, nella sua completezza e complessità?
Chi ama passeggiare e contemplare l'orizzonte del mare (immagine da lei usata per identificare un ragazzo "incline" agli studi classici) non potrebbe allo stesso modo, amare il gioco di squadra in un campetto di pallone sotto casa?
L'intelletto si sviluppa grazie alla CONOSCENZA e alla MANUALITA'; l'intelletto si è sviluppato nella storia evolutiva, grazie alla mano prensile ed al pollice opponente.
L'intelletto è cresciuto grazie alle due cose contemporaneamente, mutuamente inclusive, che completano l'uomo nella sua complessità, sintomo di ricchezza anche spirituale.
E poi, la manualità senza la conoscenza e lo studio (profondo, classico, astratto, avulso dall'immediata applicabilità, metaforico, analogico piuttosto che digitale e financo "inutile"), non sarebbe sostanzialmente una manualità monca? Una praticità arida?
Ed anche, la conoscenza e lo studio teorico senza la manualità, non finirebbe per diventare mediocre, standard, conforme e conformista, senza guizzo creativo, rivoluzionario e sovvertitore?
Quando la Mastrocola parla dei tecnici che le riparano il computer o le istallano le inferriate, è davvero irritante, poichè mostra una vena piccolo borghese e snobistica, propria dell'idea stessa della manualità, che non ha nulla a che vedere, si badi bene, con le sedicenti abilità virtuali dello "smanettamento" su internet (...e non a caso le mani sulle tastiere non esercitano ne il pollice opponente, ne la mano prensile...).
Suo malgrado forse, l'autrice arriva a descrivere quelle due persone, come dei personaggi picareschi o al massimo due sempliciotti inferiori alla classe intellettuale.
In fondo il suo messaggio è chiaro: siccome io per il computer o per le inferriate, sono proprio negata, negata per le cose pratiche... ergo... sono un'intellettuale; o meglio, proprio perchè sono un'intellettuale sono negata per le cose pratiche.
Il sospetto è che, le due sfere che attengono all'azione e al pensiero, alla praticità e alla riflessione, allo studio e al lavoro manuale, siano state separate e tenute spesso separate artificialmente (da diverse generazioni intendo), proprio per potergli attribuire un punteggio, una misura. Per poterle paragonare fra di loro, per poter affermare, di volta in volta PENSIERO batte AZIONE 3 a 2 (più rararamente, anche viceversa...).
No. AZIONE e PENSIERO, insieme, formano l'essere. Completo, evoluto, geniale, artista.
Secondo lo schema delle porte logiche, azione e pensiero sono mondi legati fra loro da un .AND. invece che da un .OR. e ciò significa che restituiscono un valore positivo all'essere se, e solo se, entrambe queste sfere sono presenti e positive, mentre l'assenza o il deficit di una delle due, vanifica necessariamente anche l'altra.
Dunque, questo libro (preziosissimo sasso in uno stagno di mediocrità) ha avuto il grande merito di riportare d'attualità un tema oggi anticonformista: quello della cultura dominante e delle subculture (o presunte tali).
Ne parla Pasolini alla fine del paragrafo "i giovani infelici" (titolo significativo in tal caso...) delle sue "Lettere Luterane". Riporto di seguiro uno stralcio; giudicate voi stessi: "... Perchè c'è [...] un'idea conduttrice sinceramente o insinceramente comune a tutti: [...] che il male peggiore del mondo sia la povertà e che quindi la cultura delle classi povere dev'essere sostituita con la cultura della classe dominante. In altre parole la nostra colpa di padri consisterebbe in questo: nel credere che la storia non sia e non possa essere che la storia borghese."

Insomma, saggio da leggere (magari insieme alle Lettere luterane di Pasolini) e conservare, per consolarsi ed orientarsi eventualmente, quando i figli saranno in età... da scuola superiore.

Sinossi:
Ditemi se le devo ancora insegnare queste cose o no. Forse, se i ragazzi non sanno più l'italiano, vuol dire che la scuola non ha più ritenuto che fosse il caso di insegnare l'italiano. Forse tutti in Italia (o meglio, in Europa) hanno deciso questo: che non è più utile insegnare la propria lingua, e si sono dimenticati di dirlo anche a me, e allora io sono l'ultima a fare una cosa che non interessa più nessuno, e quindi è bene che smetta. Questo libro è una battaglia, perché la cultura non abbandoni la nostra vita e prima di ogni altro luogo la nostra scuola, rendendo il futuro di tutti noi un deserto. È anche un atto di accusa alla mia generazione, che ha compiuto alcune scelte disastrose e non manifesta oggi il minimo pentimento. Infine, è la mia personale preghiera ai giovani, perché scelgano loro, in prima persona, la vita che vorranno, ignorando ogni pressione, sociale e soprattutto familiare. E perché, in un mondo che li vezzeggia, li compatisce, e ne alimenta ogni giorno il vittimismo, essi con un gesto coraggioso e rivoluzionario si riprendano la libertà di scegliere se studiare o no, sovvertendo tutti gli insopportabili luoghi comuni che da almeno quarant'anni ci governano e ci opprimono.

La recensione di IBS
Nel 2004 Paola Mastrocola ci aveva regalato un libro più piccolo, più veloce, uno sfogo più che un trattato, il cui intento polemico era evidente sin dal titolo: La scuola raccontata al mio cane. Oggi dalla sua esperienza nasce un saggio completo, un'analisi impietosa e grave della situazione attuale non solo della scuola, ma della cultura, della società, della vita degli italiani, del futuro dei giovani.
L'intento polemico è invariato e anche questa volta lo leggiamo sin nel titolo: Togliamo il disturbo, come dire che, dato che la società ci impone un modello culturale dove preparazione diventa sinonimo di nozionismo – “vade retro” nozione! - e ogni sforzo intellettuale assume valenza negativa, gli insegnanti possono anche togliere il disturbo.
"Oggi se parli di studio, sei subito vecchio. Pesante, lento, bacucco, fuori moda, antipatico e noioso. Studio è una parola perdente a priori: appena la pronunci, hai già perso. Non studiare invece è bello, sa di nuovo, di fresco e di gioioso. È come andar per campi a fare una merenda, o i tuffi dagli scogli, o una camicia appena lavata e stesa al sole."
Al centro dell'analisi del 2004 c'era la trasformazione del lessico: il verbo rimandare che si trasforma in recuperare e perde ogni pericolosità; dall’iniziare le lezioni il primo giorno di scuola all’accogliere i ragazzi per una settimana senza fare nulla; dai programmi ai progetti in una scuola incentrata sul marketing... e così via. Una trasformazione formale che portava con sé quella concettuale.
Oggi la professoressa di lettere Paola Mastrocola racconta gli ultimi decenni delle istituzioni scolastiche di ogni ordine e grado, facendone un'analisi anche "fastidiosa" per certi versi, rileggendo soprattutto le trasformazioni culturali di questi anni, le scelte di indirizzo, i tanti errori - spesso mascherati sotto un apparente abito di innovazione - e i pochi successi.
Se dovessimo trovare anche qui le parole-chiave attorno alle quali si svolge il ragionamento sarebbero: fallimento, disastro, inutilità, illusione, abisso, impotenza...
Le prime due parti del saggio fotografano la scuola italiana e di conseguenza la preparazione dei giovani - certo, vista con gli occhi di Paola Mastrocola, diciamo un'analisi soggettiva ma molto ben argomentata - offrendone un'immagine drammatica, quasi senza via d'uscita.
La terza parte offre la via d'uscita: "mi è parso di aver trovato niente meno che una soluzione per il futuro.. Qualcosa che ha a che fare con la felicità dei giovani, la loro libertà di scelta. Insomma, la terza parte - scrive ancora la Mastrocola - è la mia personale “modesta proposta”: in poche parole, lì vi dico che farei io se governassi l'universo, quale scuola inventerei".
Ecco altre parole importanti: libertà, scelta, individuo, responsabilità. E tre nomi: Carlo Martello, Dante e Jonathan Franzen. Cosa c'entrano Carlo Martello, Dante e Jonathan Franzen con tutto il discorso di prima? Vedrete che c'entrano eccome. La “modesta proposta” della Mastrocola è una scuola divisa in tre direzioni ben distinte. Con una innovazione legata al nostro vivere quotidiano multitasking basata però su una preparazione di base eccellente, "e poi liberi tutti!".
È in questa parte finale, travolgente, l'anima del libro.
"Evitiamo il pericolo strisciante dell'omologazione": è importante! Così come è importante capire per cosa siamo nati, cosa vogliamo fare, indipendentemente dal pensiero dei molti. La scuola ci deve offrire la possibilità di scegliere, e di farlo anche controcorrente. Ci deve fornire le basi, nei primi anni dell'obbligo, per capire se siamo nati per studiare o per fare un lavoro manuale, per coltivare la terra o per fare il tecnico di computer, per leggere Torquato Tasso o per cucinare. Indipendentemente dalla famiglia di origine e dalle velleità dei genitori.
"Ci vuole un certo coraggio, la libertà non è affatto una scelta facile", ma potrebbe portare a una formazione superiore diversificata e piacevole per tutti. Liberando anche la scuola da quel conformismo e quella superficialità che la stanno uccidendo.

venerdì 8 aprile 2011

Non per profitto. Perché le democrazie hanno bisogno della cultura umanistica di Martha C. Nussbaum

Ho trovato la recensione di questo libro, seguendo un dibattito suscitato da un recente e controverso saggio pubblicato negli Stati Uniti (Il ruggito della mamma tigre di Amy Chua), che propone i metodi educativi di una mamma di origine cinese; metodi molto "duri" e scandalosi agli occhi di noi occidentali.
Non ho letto il libro di Chua. Per ora non mi attira. Paradossalmente invece, mi ha incuriosito questo saggio, citato per un aspetto secondario affrontato nel dibattito.
Il saggio è molto interessante e offre anche un rapido excursus sulla storia e l'evoluzione della pedagogia negli Stati Uniti, in Europa e in India.
Per noi italiani inoltre, il vantaggio è offerto da una visione ampia e globale del fenomeno di questa parabola dell'istruzione e dell'educazione, ormai pericolosamente orientata ai soli aspetti pratici e del "ritorno di investimento" immediato. Magra consolazione certo, il fatto di non sentirsi unici in questa china pericolosa. Non ci aiuta affatto, ad esempio, sapere che ormai è pratica comune quella dei diversi governi nazionali di valutare le università statali in base al profitto, ai risultati economici, al ritorno d'investimento, ecc. Deprimente...
Soprattutto perchè l'autrice sostiene e in parte dimostra, come il depauperamento della formazione, attraverso la marginalizzazione della cultura umanistica, è dannoso sia all'uomo in quanto cittadino democratico, che lo vede sempre più involuto in un pensiero unico, conformista e distaccato dalla cosa pubblica; sia all'innovazione tecnica e scientifica stessa, incapace di nuove e geniali invenzioni, di saper vedere nuovi orizzonti e saper crescere nuovi Galilei, pronti a rompere gli schemi e a commettere eresie scientifiche e culturali.
Ci stiamo avviando verso generazioni di medici che non curano, ma seguono solo "protocolli terapeutici"? Verso avvocati che non difendono, ma inoltrano pratiche e procedure protocollate via internet? Verso generazioni di tecnici che non riparano, ma cambiano pezzi pre-assemblati, definiti eloquentemente black-box (scatola oscura, appunto) di cui non ne conoscono la composizione, ne tantomeno il funzionamento?
Forse stiamo formando delle nuove generazioni di S.C.N.T.D. (Sudditi Condiscendenti e Narcolettici della Tirannia Democratica)... a proposito della tendenza a semplificare tutto in sigle ed acronimi (metodo efficacie ad eliminare la complessità...). Stiamo crescendo nuove generazioni con opinioni non formate e plasmate attraverso il ragionamento e il pensiero, ma con pareri distribuiti dai mass media come black-box; pezzi nuovi e moderni, da sostituire e riassemblare nel proprio sistema di valori in base alle mode del momento, certificate dagli ultimi sondaggi!

Sinossi
Assistiamo oggi a una crisi strisciante, di enormi proporzioni e di portata globale, tanto più inosservata quanto più dannosa per il futuro della democrazia: la crisi dell'istruzione. Sedotti dall'imperativo della crescita economica e dalle logiche contabili a breve termine, molti paesi infliggono pesanti tagli agli studi umanistici ed artistici a favore di abilità tecniche e conoscenze pratico-scientifiche. E così, mentre il mondo si fa più grande e complesso, gli strumenti per capirlo si fanno più poveri e rudimentali; mentre l'innovazione chiede intelligenze flessibili, aperte e creative, l'istruzione si ripiega su poche nozioni stereotipate. Non si tratta di difendere una presunta superiorità della cultura classica su quella scientifica, bensì di mantenere l'accesso a quella conoscenza che nutre la libertà di pensiero e di parola, l'autonomia del giudizio, la forza dell'immaginazione come altrettante precondizioni per una umanità matura e responsabile.