giovedì 14 aprile 2011

Togliamo il disturbo di Paola Mastrocola

Questo è un libro che fa "incazzare".
E questo termine, anche se volgare, è forse il più appropriato perchè rende più di qualsiasi altro possibile sinonimo, contenendo in sé il tormento dell'emozione; quello forte e profondo: il tormento "di pancia".
Questo libro suscita sentimenti contrastanti, nel tempo e nello spazio; evoca riferimenti contrastanti; analogie grigie e dicotomie artificiose.
Questa professoressa è letteralmente anti-patica; quindi molto preziosa. Ottima insegnante di lettere: magari averla avuta come docente al liceo (un po' meno come maestra alle elementari...).
Molte cose che afferma sono, e non potrebbe essere altrimenti, fortemente condivisibili, come l'invadenza della tecnologia, lo strapotere mediatico della TV, il forte rumore dei blog, sms, ipod, l'apparire più dell'essere, l'avere più del sapere...
Ma l'impressione oggi è che questo fastidio alle nuove tecnologie e alle nuove tendenze, sta per essere codificato definitivamente in un nuovo conformismo sociale. E il conformismo, la tendenza al conformismo, è molto potente; una "terribile, invincibile ansia di conformismo", come la definiva Pasolini nelle prime pagine delle sue Lettere Luterane, tanto da trasformare "... un uomo borghese [...] tendenzialmente fascista [in] un progressista, un rivoluzionario, un comunista [...] Allo scopo di poter finalmente [più o meno inconsapevolmente] vivere in pace con la sua ansia di conformismo...".
Comunque, questo "recupero" dell'importanza del lavoro manuale e pratico, che l'autrice afferma con entusiasmo, come un valore e con una propria dignità e non già come un mondo di ripiego e di riserva, è fondamentale. Una delle tesi più convincenti di questo saggio.
E proprio per questo, non si capisce l'accento che la professoressa Mastrocola pone immediatamente dopo, formulando la sua visione di scuola, sulla presupposta e artificiosa separazione fra sapere e saper fare, fra lavoro manuale e lavoro intellettuale. Chi studia e ama studiare, perchè incline a studiare, perchè non dovrebbe avere parimenti amore anche per la manualità, per la praticità? Quale meccanismo mutuamente esclusivo è mai questo? E le due figure retoriche che ella utilizza per esemplificare, il discobolo (uomo attivo, fattivo) e il pensatore (uomo studioso, riflessivo), non dovrebbero forse rappresentare l'uomo, lo stesso uomo, in due diverse sequenze della sua vita o della sua giornata; l'uomo nella sua interezza indissolubile, nella sua completezza e complessità?
Chi ama passeggiare e contemplare l'orizzonte del mare (immagine da lei usata per identificare un ragazzo "incline" agli studi classici) non potrebbe allo stesso modo, amare il gioco di squadra in un campetto di pallone sotto casa?
L'intelletto si sviluppa grazie alla CONOSCENZA e alla MANUALITA'; l'intelletto si è sviluppato nella storia evolutiva, grazie alla mano prensile ed al pollice opponente.
L'intelletto è cresciuto grazie alle due cose contemporaneamente, mutuamente inclusive, che completano l'uomo nella sua complessità, sintomo di ricchezza anche spirituale.
E poi, la manualità senza la conoscenza e lo studio (profondo, classico, astratto, avulso dall'immediata applicabilità, metaforico, analogico piuttosto che digitale e financo "inutile"), non sarebbe sostanzialmente una manualità monca? Una praticità arida?
Ed anche, la conoscenza e lo studio teorico senza la manualità, non finirebbe per diventare mediocre, standard, conforme e conformista, senza guizzo creativo, rivoluzionario e sovvertitore?
Quando la Mastrocola parla dei tecnici che le riparano il computer o le istallano le inferriate, è davvero irritante, poichè mostra una vena piccolo borghese e snobistica, propria dell'idea stessa della manualità, che non ha nulla a che vedere, si badi bene, con le sedicenti abilità virtuali dello "smanettamento" su internet (...e non a caso le mani sulle tastiere non esercitano ne il pollice opponente, ne la mano prensile...).
Suo malgrado forse, l'autrice arriva a descrivere quelle due persone, come dei personaggi picareschi o al massimo due sempliciotti inferiori alla classe intellettuale.
In fondo il suo messaggio è chiaro: siccome io per il computer o per le inferriate, sono proprio negata, negata per le cose pratiche... ergo... sono un'intellettuale; o meglio, proprio perchè sono un'intellettuale sono negata per le cose pratiche.
Il sospetto è che, le due sfere che attengono all'azione e al pensiero, alla praticità e alla riflessione, allo studio e al lavoro manuale, siano state separate e tenute spesso separate artificialmente (da diverse generazioni intendo), proprio per potergli attribuire un punteggio, una misura. Per poterle paragonare fra di loro, per poter affermare, di volta in volta PENSIERO batte AZIONE 3 a 2 (più rararamente, anche viceversa...).
No. AZIONE e PENSIERO, insieme, formano l'essere. Completo, evoluto, geniale, artista.
Secondo lo schema delle porte logiche, azione e pensiero sono mondi legati fra loro da un .AND. invece che da un .OR. e ciò significa che restituiscono un valore positivo all'essere se, e solo se, entrambe queste sfere sono presenti e positive, mentre l'assenza o il deficit di una delle due, vanifica necessariamente anche l'altra.
Dunque, questo libro (preziosissimo sasso in uno stagno di mediocrità) ha avuto il grande merito di riportare d'attualità un tema oggi anticonformista: quello della cultura dominante e delle subculture (o presunte tali).
Ne parla Pasolini alla fine del paragrafo "i giovani infelici" (titolo significativo in tal caso...) delle sue "Lettere Luterane". Riporto di seguiro uno stralcio; giudicate voi stessi: "... Perchè c'è [...] un'idea conduttrice sinceramente o insinceramente comune a tutti: [...] che il male peggiore del mondo sia la povertà e che quindi la cultura delle classi povere dev'essere sostituita con la cultura della classe dominante. In altre parole la nostra colpa di padri consisterebbe in questo: nel credere che la storia non sia e non possa essere che la storia borghese."

Insomma, saggio da leggere (magari insieme alle Lettere luterane di Pasolini) e conservare, per consolarsi ed orientarsi eventualmente, quando i figli saranno in età... da scuola superiore.

Sinossi:
Ditemi se le devo ancora insegnare queste cose o no. Forse, se i ragazzi non sanno più l'italiano, vuol dire che la scuola non ha più ritenuto che fosse il caso di insegnare l'italiano. Forse tutti in Italia (o meglio, in Europa) hanno deciso questo: che non è più utile insegnare la propria lingua, e si sono dimenticati di dirlo anche a me, e allora io sono l'ultima a fare una cosa che non interessa più nessuno, e quindi è bene che smetta. Questo libro è una battaglia, perché la cultura non abbandoni la nostra vita e prima di ogni altro luogo la nostra scuola, rendendo il futuro di tutti noi un deserto. È anche un atto di accusa alla mia generazione, che ha compiuto alcune scelte disastrose e non manifesta oggi il minimo pentimento. Infine, è la mia personale preghiera ai giovani, perché scelgano loro, in prima persona, la vita che vorranno, ignorando ogni pressione, sociale e soprattutto familiare. E perché, in un mondo che li vezzeggia, li compatisce, e ne alimenta ogni giorno il vittimismo, essi con un gesto coraggioso e rivoluzionario si riprendano la libertà di scegliere se studiare o no, sovvertendo tutti gli insopportabili luoghi comuni che da almeno quarant'anni ci governano e ci opprimono.

La recensione di IBS
Nel 2004 Paola Mastrocola ci aveva regalato un libro più piccolo, più veloce, uno sfogo più che un trattato, il cui intento polemico era evidente sin dal titolo: La scuola raccontata al mio cane. Oggi dalla sua esperienza nasce un saggio completo, un'analisi impietosa e grave della situazione attuale non solo della scuola, ma della cultura, della società, della vita degli italiani, del futuro dei giovani.
L'intento polemico è invariato e anche questa volta lo leggiamo sin nel titolo: Togliamo il disturbo, come dire che, dato che la società ci impone un modello culturale dove preparazione diventa sinonimo di nozionismo – “vade retro” nozione! - e ogni sforzo intellettuale assume valenza negativa, gli insegnanti possono anche togliere il disturbo.
"Oggi se parli di studio, sei subito vecchio. Pesante, lento, bacucco, fuori moda, antipatico e noioso. Studio è una parola perdente a priori: appena la pronunci, hai già perso. Non studiare invece è bello, sa di nuovo, di fresco e di gioioso. È come andar per campi a fare una merenda, o i tuffi dagli scogli, o una camicia appena lavata e stesa al sole."
Al centro dell'analisi del 2004 c'era la trasformazione del lessico: il verbo rimandare che si trasforma in recuperare e perde ogni pericolosità; dall’iniziare le lezioni il primo giorno di scuola all’accogliere i ragazzi per una settimana senza fare nulla; dai programmi ai progetti in una scuola incentrata sul marketing... e così via. Una trasformazione formale che portava con sé quella concettuale.
Oggi la professoressa di lettere Paola Mastrocola racconta gli ultimi decenni delle istituzioni scolastiche di ogni ordine e grado, facendone un'analisi anche "fastidiosa" per certi versi, rileggendo soprattutto le trasformazioni culturali di questi anni, le scelte di indirizzo, i tanti errori - spesso mascherati sotto un apparente abito di innovazione - e i pochi successi.
Se dovessimo trovare anche qui le parole-chiave attorno alle quali si svolge il ragionamento sarebbero: fallimento, disastro, inutilità, illusione, abisso, impotenza...
Le prime due parti del saggio fotografano la scuola italiana e di conseguenza la preparazione dei giovani - certo, vista con gli occhi di Paola Mastrocola, diciamo un'analisi soggettiva ma molto ben argomentata - offrendone un'immagine drammatica, quasi senza via d'uscita.
La terza parte offre la via d'uscita: "mi è parso di aver trovato niente meno che una soluzione per il futuro.. Qualcosa che ha a che fare con la felicità dei giovani, la loro libertà di scelta. Insomma, la terza parte - scrive ancora la Mastrocola - è la mia personale “modesta proposta”: in poche parole, lì vi dico che farei io se governassi l'universo, quale scuola inventerei".
Ecco altre parole importanti: libertà, scelta, individuo, responsabilità. E tre nomi: Carlo Martello, Dante e Jonathan Franzen. Cosa c'entrano Carlo Martello, Dante e Jonathan Franzen con tutto il discorso di prima? Vedrete che c'entrano eccome. La “modesta proposta” della Mastrocola è una scuola divisa in tre direzioni ben distinte. Con una innovazione legata al nostro vivere quotidiano multitasking basata però su una preparazione di base eccellente, "e poi liberi tutti!".
È in questa parte finale, travolgente, l'anima del libro.
"Evitiamo il pericolo strisciante dell'omologazione": è importante! Così come è importante capire per cosa siamo nati, cosa vogliamo fare, indipendentemente dal pensiero dei molti. La scuola ci deve offrire la possibilità di scegliere, e di farlo anche controcorrente. Ci deve fornire le basi, nei primi anni dell'obbligo, per capire se siamo nati per studiare o per fare un lavoro manuale, per coltivare la terra o per fare il tecnico di computer, per leggere Torquato Tasso o per cucinare. Indipendentemente dalla famiglia di origine e dalle velleità dei genitori.
"Ci vuole un certo coraggio, la libertà non è affatto una scelta facile", ma potrebbe portare a una formazione superiore diversificata e piacevole per tutti. Liberando anche la scuola da quel conformismo e quella superficialità che la stanno uccidendo.

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