lunedì 17 ottobre 2011

Il "CamminaFrancigena Senese 2011"

Giovedì 12 ottobre sono tornato da un pellegrinaggio sulla via Francigena, organizzato da "Il Movimento Lento" (http://www.movimentolento.it/) un gruppo di persone speciali, che esplicita nel nome della propria associazione la lunga tradizione della filosofia della lentezza, espressione moderna della filosofia che ha recepito parte dei princìpi originari della "Stoa" ateniese.
In sei giorni, io ed altri camminatori, abbiamo percorso oltre 130 Km. di sentieri, strade e mulattiere, incontrando pellegrini italiani e stranieri, religiosi e laici, ventenni e settantenni.
Gente diversa che ha lasciato a casa la propria quotidianeità, compresa l'identità sociale. Avvocati, medici, operai, disoccupati, artisti, si sono trasformati durante il cammino solo in pellegrini; impolverandosi, sudando, puzzando, soffrendo e ferendosi tutti allo stesso modo.
Abbiamo attraversato borghi e contrade di inestimabile valore e bellezza; vanto culturale e paesaggistico della provincia senese.
Siamo partiti da San Gimignano (SI) e, dopo aver attraversato tutta la provincia di Siena, siamo approdati a Radicofani (SI).

Questa esperienza mi ha profondamente cambiato e, come dice il mio amico Giovanni: "un pellegrinaggio è difficile da raccontare agli altri, lo si può solo consigliare"
Questo è quello che voglio fare. Consigliare a tutti, di mettersi in cammino e non solo metaforicamente.
Non ve ne pentirete.
Camminare oggi, rappresenta un gesto rivoluzionario anche se è la cosa più naturale che esista poichè, come ci ricorda Junger "Il linguaggio rispecchia il movimento del piede" (E. Junger, Il contemplatore solitario, Guanda 2000).
Il ritmo e la velocità del camminare è lo stesso di quello del battito del cuore, dell'elaborazione del pensiero e del linguaggio. 3-4 Kilometri orari.
Sarebbero molte le cose da dire e le riflessioni da sviluppare in merito a questo gesto natural-rivoluzionario.
A me, sono venute in mente tre parole: essenziale, sofferenza, tempo.

Essenziale
Camminare riduce i nostri bisogni all'essenziale. Ci costringe a riconoscere l'essenza dei nostri bisogni e del nostro vissuto, spesso sommerso dal superfluo della vita quotidiana.
Essenziale non è sinonimo di minimale. L'essenziale nella nostra vita c'è sempre, quello che perdiamo di vista è il limes che lo separa dal superfluo, che spesso tendiamo a relativizzare, spostare, contestualizzare.
Avete mai preparato un carciofo per cucinare? Fino a che punto vanno tolte le foglie esterne? Quante foglie devo togliere per arrivare ad avere solo il "cuore del carciofo"?
Camminare ci permette di intravedere meglio l'essenziale nella nostra vita, in tutti i suoi aspetti; nel mangiare come nel divertimento, nella riflessione come nella cura degli affetti, nella cura del fisico e della mente come nel riposo e la necessità dell'ozio.
E questo è un privilegio. Un lusso.
Come afferma recitando nei suoi spettacoli il mio amico Giovanni, del Teatro Agricolo (http://www.teatroagricolo.it/): "...il pellegrino, che nella vita di tutti i giorni la mattina si angoscia perchè non sa che camicia abbinare alle scarpe, all'uscita dall'ostello lo vedi esultare saltellando perchè è riuscito a lavare ed asciugare ben due paia di mutande!"

Sofferenza
Camminare procura un po' di sofferenza, di dolore fisico. Ai piedi, alla schiena, alle spalle.
Girare con uno zaino di 8-9 Kg., significa portare un peso sulle spalle (e questa non è affatto una metafora...).
Se poi, uno come me è anche sovrappeso, significa portare un peso ancora maggiore!
Quindi si impara a preparare lo zaino con l'essenziale e ci si pente di aver mangiato troppo, accumulando il superfluo sul proprio corpo.
Ecco un esempio concreto di come badare all'essenziale per lenire la sofferenza (e questa è anche una metafora...)
Ma la sofferenza del pellegrino, può essere solo lenita, mai eliminata.
Una sofferenza che viene tuttavia accettata, tollerata e riconosciuta come "prezzo da pagare", per una ricompensa ben maggiore.
In questo atteggiamento esiste un altro aspetto di cultura rivoluzionaria poichè, come afferma Achenbach: "...il programma del Moderno prevede l'eliminazione della sofferenza, senza lasciare spazio alla sopportazione, alla tolleranza o [...] all'accettazione della stessa..." (G.B. Achenbach, Il libro della quiete interiore, Apogeo 2001).
Il sogno utopistico e superbo dell'uomo moderno di voler eliminare definitivamente la sofferenza fisica, col progresso tecnologio, o meglio, col dominio della tecnologia, ha contribuito a sviluppare quel nichilismo di cui parlava Nietzsche più di un secolo fa.
L'utopia del dominio dell'uomo sulla sofferenza fisica è sfociato in una sofferenza dell'anima ben più inquietante e dolorosa.
Camminare ci fa accettare un po' di sofferenza fisica, la fame, la sete, e questo è un piccolo privilegio, per noi gente ricca del mondo occidentale.
Siamo capaci di diventare gli esseri più felici del mondo, quando una vescichetta sul tallone si va lentamente rimarginando, o quando un vecchio contadino incontrato per via, ci riempie la borraccia di acqua fresca.
Come disse il mio amico Sandro, a poche centinaia di metri dal primo bar prima di entrare a Siena, al termine della tappa notturna: "Non ho mai desiderato tanto un caffè in vita mia e me lo godrò come non mai!"

Tempo
"Il pellegrino di oggi è il vero ricco. Perchè può permettersi il lusso di disporre del suo tempo". Questo me l’ha detto il mio amico Nino, l'ultimo giorno di cammino, mentre arrancavamo sull'interminabile ultima salita che porta a Radicofani.
Ma la cosa più logica, più razionale, direi più ovvia, forse è che che chi va piano, chi vive lentamente, sostanzialmente chi viaggia a piedi percorrendo 130 Km. in 6 giorni, invece di usare l'aereo, il treno, l'automobile, in fondo chi si comporta così è uno che perde tempo.
Lo fa per passione, divertimento, ma sostanzialmente perde tempo.
Eppure, c'è qualcosa che non torna in questa ovvietà.
Come mai, nonostante il progresso, le auto sempre più veloci, la TAV, gli aerei, le conference call, le autostrade migliori, l'uomo moderno è sempre più dominato dal tempo?
Più vive freneticamente, più dice di non avere mai tempo, di averne sempre di meno, sempre poco?
E non solo per se, ma anche per gli altri: sempre meno tempo per i figli, gli affetti, gli amici.
Se chi vive lentamente, seguendo il ritmo del cuore, del pensiero, è uno che perde il tempo, l'indaffarato dove lo ha messo il suo tempo?
E' il paradosso di MOMO, dall'omonimo libro di Michael Ende, il paradosso della tartaruga che più andava piano e arrivava sempre prima rispetto agli indaffarati e veloci "signori grigi", ladri di tempo.
Tutto nasce da un equivoco fondamentale: l'idea che il tempo possa essere mercificato, materializzato e posseduto dall'uomo. Ma il tempo prescinde dall'uomo stesso e non può essere posseduto, quindi non può essere conservato, sprecato, perso.
"...Il moderno è il tempo del tempo, ma in realtà si declina come schiavo del tempo, vittima della temporalità [...] Nel moderno, il pensiero è caduto vittima del tempo, privilegiando l'istante [...] il tempo è pensato come qualcosa che si può avere e che si può suddividere, utilizzare, quasi farne "scorta" [...] eppure esso diminuisce, paradossalmente si perde. (Achenbach, op. cit.).
Insomma, si pensa equivocando che la lentezza abbia bisogno di tempo, ma è vero il contrario: è la lentezza che ci procura, ci concede e ci dona il tempo, mentre la velocità ce lo ruba.
Ricordate Alice nel paese delle meraviglie? "...ma come?, siamo rimaste qui tutto il tempo sotto questo albero? Non è cambiato proprio niente?" - "Naturalmente no", confermò la regina, [...] "qui devi correre più veloce che puoi , per rimanere sempre nello stesso posto"
Il tempo esiste per noi solo ed esclusivamente nel momento in cui ce lo prendiamo. Chi ha bisogno di tempo non lo "consuma", ma piuttosto, al contrario, lo ottiene solo in questo modo, anche per accorciare le distanze, sia fisiche, che mentali e culturali.
Un esempio?
Camminando in questi sei giorni, ho vissuto intensamente conoscendo tantissima bella gente. Gente speciale.
Ho conosciuto il loro vissuto, ho raccontato il mio vissuto, le mie emozioni, le mie idee.
Ho stabilito relazioni e intrecciato legami e amicizie forti.
Ho ripensato alla mia vita, ai miei valori, al mio vissuto umano e spirituale.
Ho incontrato polacchi, vecchie signore americane, olandesi, spagnoli, australiane.
Ho attraversato paesi e borghi e ho imparato a distinguere i cambiamenti degli abitanti negli accenti dialettali.
In sintesi, ho vissuto in sei giorni, quello non sarei riuscito a fare in due, o forse più, anni di vita.

Ma allora... qual è e dov'è il tempo perso in questi sei giorni?

Messaggio personale e un po' criptico ai miei amici del cammino:
Carissimi, forse sbaglieremo ancora a ricordare dove viviamo, cosa facciamo nella vita e continueremo a confondere i nostri nomi...

PERO' CI PIACE TANTO COME RAGIONIAMO!


Un ringraziamento particolare, va alla mia amica Paola, che mi ha concesso di pubblicare su questo post le sue foto, così eloquenti e significative.

3 commenti:

  1. Caro Fabrizio,
    Le tue analisi su tutto quello che hai vissuto mi ha fatto venire una grande voglia di fare questa sperienza...
    Essenziale e sofferenza, due concetti quasi persi in questo mondo dove si vuole sempre di più e dove non si sa più cosa vale veramente. Soffrire, chi lo vuole? Ma senza farlo, come valorizzare l'essere bene?
    Ma quello che mi ha impressionato di più è quello che hai vissuto sulla nozione del tempo. Anch'io ho questa impressione che tutto quello che abbiamo inventato per facilitare nostra vita, in verità ci ha rubato il nostro bene maggiore, il tempo di vivere. Che matematica strana sarà questa?
    Spero solo che tu non sia cambiato tanto. Mi piace come sei, caro cognato.
    Scusa per gli errori.
    Baci dal Brasile,

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  2. Non preoccuparti, sono sempre il solito "burlone"!

    Un abbraccio e grazie
    Fabbroscrivano

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  3. Ho sempre camminato. Non da pellegrina, ma ho sempre cercato di farlo per riprendermi tempo e pensieri che altrimenti andavano persi. Risucchiata in una sorta di limbo regolato da un magico equilibrio. Perchè, anche in solitaria, l'energia fisica e psichica che restituisce quest'azione primaria mi è indispensabile e poche altre discipline mi semplificano la vita allo stesso modo.
    Forse quando spacco la legna e mi occupo del giardino, quando cucino o scrivo...

    Baci, strade sterrate e fontane

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